Incensato da tanta critica, il film, che è entrato nelle selezioni per l'Oscar al Miglior Film Straniero, è sopravvalutato.
Retorico, spesso noioso, ripetitivo, non eccelso nei dialoghi, che appaiono persino confusi.
(Probabilmente spiritose alcune battute in lingua napoletana, che -mancando al cinema i sottotitoli alle frasi pronunciate in dialetto stretto- noi nordici purtroppo non abbiamo potuto afferrare.)
Nel film autobiografico convivono pesantemente farsa e calamità.
La scena più convincente è quella della crisi nervosa della mamma quando scopre di essere tradita: bella scena, peccato vi sia sovrapposta quella della crisi epilettica del figlio. Qua e là vi sono alcune belle immagini, come quella dell'immenso lampadario di cristallo appoggiato sul pavimento dell'antico palazzo in decadimento, all'incontro con il Monachello. La scena peggiore è l'interminabile pranzo estivo, all'aperto, nella prima parte del film, con quella fissità insistita, con tutti i parenti, uno più fastidiosamente e inutilmente grottesco dell'altro.
I protagonisti principali sono validi: la mamma Maria (l'attrice Teresa Saponangelo), il papà Saverio (Toni Servillo, epperò sempre uguale in tutti i film), l'adolescente Fabietto Schisa, (interpretato da Filippo Scotti), il fratello Marchino (Marlon Joubert), e la zia Patrizia (interpretata da Luisa Ranieri), sono tutti bei personaggi, cui aggiungiamo la figura perennemente assente della sorella sempre chiusa in bagno.
La 'corte dei miracoli' che sta loro intorno, pur immaginando che sia costruita sulla base di ricordi personali del regista, risulta eccessiva. Proprio le scene corali sono le più deboli. Tutti questi altri personaggi sono troppo bislacchi e risultano narrativamente miseri, poiché presentati in modo frammentario, sbrigativo, mai fluido. Le (eventuali) intenzioni di critica sociologica si risolvono in un folklore che fa rimpiangere i molti meravigliosi 'pazzi' e personaggi strambi creati con migliori intuizioni da grandi registi, dai quali peraltro Sorrentino attinge abbondantemente.
Sorrentino vorrebbe essere un nuovo Fellini con tocchi astratti alla Bunuel, tentando di far convivere l'irrazionale e la sensualità, ma non persuade.
Il coming of age del giovane napoletano resta un film mediocre, i 130 minuti di visione sono quasi interamente sprecati.
La musica non interessa, (che scoperta!: una canzone melodica di Pino Daniele...), la fotografia è turistica, (nella scena di apertura dell'arrivo in barca sul Golfo sembra di essere capitati in un film di James Bond senza però uguale divertimento).
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