Hamlet di Ambroise Thomas, prima mondiale al Teatro Regio di Torino
- Planet Claire
- Jun 14
- 5 min read
Updated: Jun 18
Al Teatro Regio di Torino, in scena dal 15 al 27 maggio 2025, abbiamo visto uno spettacolo di teatro lirico di pregio, esempio riuscito di riscoperta di un'opera significativa.
Ambroise Thomas, (1811–1896), operista della generazione di Wagner e di Verdi, ma stilisticamente molto differente, rappresentando il gusto del grand opéra francese di metà Ottocento, creò Hamlet, la versione francese musicale della fondamentale tragedia shakespeariana.
Hamlet (meglio -in questo caso- pronunciato in francese con l’accento sull’ultima sillaba e senza l'acca aspirata: Am-lèt), è un’opera francofona in cinque atti, su libretto di Michel Carré e Jules Barbier, basato appunto sull'opera shakespeariana, tuttavia già mediata dagli adattamenti letterari francesi precedenti, come quello di Alexandre Dumas padre, (Hamlet, Prince de Danemark, scritta nel 1847 in collaborazione con Paul Meurice).
La prima rappresentazione dell'Hamlet di Thomas avvenne nel 1868 all’Opéra di Parigi. L'opera lirica divenne subito uno dei punti di forza del repertorio del grande teatro parigino, rimanendo tra gli spettacoli in cartellone per circa settant'anni, un periodo straordinariamente lungo. Fu il maggior successo della carriera di Thomas. Dopo un periodo di oblio nel XX secolo, l’opera ha conosciuto una riscoperta recente. La produzione di questo maggio 2025 del Teatro Regio di Torino ha una importanza storica: è effettivamente la prima mondiale in forma scenica della versione originale per tenore dell'opera. Infatti, originariamente, il ruolo dell'Hamlet di Thomas era concepito per un tenore, ma, per la prima rappresentazione del 1868, fu adattato per il baritono Jean-Baptiste Faure. Recentemente, la versione originale per tenore è stata appunto riscoperta e pubblicata, restituendo al protagonista una vocalità più drammatica. La produzione torinese adotta oggi questa versione, con il tenore John Osborn nel ruolo principale.
L’opera è celebre per diversi elementi: le danze, tipiche del Grand Opéra francese, ricche di vitalità e spesso usate per alleggerire i toni tragici della vicenda; le scene spettrali, come l’apparizione del fantasma del re defunto, trattate con grande effetto drammatico e musicale; le arie cantate con enfasi emotiva, in particolare per i protagonisti Hamlet e Ophélie.
Thomas e i librettisti francesi semplificano e riducono il numero dei personaggi rispetto al testo originale di Shakespeare, concentrandosi sul dramma interiore e sui ruoli principali. Inoltre, modificano significativamente il finale della storia rispetto alla tragedia shakespeariana: nell’opera di Thomas, Hamlet non muore alla fine, ma sale al trono dopo aver ucciso lo zio Claudius. Questo "lieto fine" era più in linea con le convenzioni dell’opera francese dell’epoca.
Anche la figura di Ophélie non è una trasposizione fedele di Shakespeare, ma una rielaborazione romantica: Ophelia per il drammaturgo inglese è una figura fragile, inquietante, decisamente più moderna del suo alter ego francese di più di duecentocinquant'anni dopo.
La tragedia di Shakespeare (1601 circa) è filosofica, cupa, esistenziale, senza speranza; rappresenta il principe Hamlet di Danimarca sconvolto dalla morte del padre e dal rapido matrimonio della madre Gertrude con Claudius, fratello del re defunto. L'apparizione del fantasma del padre gli rivela che lo zio Claudius lo ha ucciso. Hamlet giura vendetta, ma è tormentato dal dubbio morale. Nel suo percorso distrugge chi gli è vicino: respinge e umilia Ophelia, che finirà per impazzire e morire, in un paradosso tragico ("Each man kills the thing he loves"); uccide per errore Polonius, padre di Ophelia; e provoca la vendetta del fratello di Ophelia, Laertes. La tragedia culmina in un duello mortale orchestrato da Claudius. In breve tempo, Gertrude, Laertes, Claudius e Hamlet stesso muoiono. Alla fine, Fortinbras prende il controllo del regno.
Invece, nell’opera di Thomas (1868), romantica, melodrammatica, spettacolare, il principe Hamlet è in lutto per il padre ucciso da Claudius, lo zio appena incoronato re e divenuto marito della madre Gertrude. Il fantasma del padre appare e chiede vendetta. Hamlet è combattuto tra l’amore per Ophélie e il dovere. Fingendosi pazzo, comincia a smascherare la verità e preparare la vendetta. Ophélie, disperata per l’atteggiamento di pretesa indifferenza di Hamlet e la morte di suo padre Polonius, impazzisce e si suicida nella celebre Aria della Follia. Hamlet alla fine uccide Claudius, sopravvive e viene incoronato re.
La scena della pazzia è un cliché dell'opera italiana e francese dell’Ottocento, in cui un protagonista impazzisce, con conseguenze tragiche. Univa dramma e virtuosismo, offrendo agli interpreti l’occasione di mostrare grande abilità tecnica ed espressiva.
L'Aria della Follia di Ophélie, "À vos jeux, mes amis" (Atto IV), è uno dei momenti più toccanti e virtuosistici del repertorio per soprano e una delle scene di follia più famose nella storia dell'Opera. La fanciulla impazzisce quando Hamlet finge di disamarla per mettere in atto la propria vendetta contro lo zio omicida. Per questa scena vi è un uso simbolico della danza e della natura: Ophélie evoca i giochi, le danze e la leggerezza infantile per contrastare il proprio dolore psichico. Questa scena, che ha affascinato il pubblico sin dalla prima rappresentazione, è molto impegnativa per ogni soprano lirico e lo è stata anche per Sara Blanch, il soprano catalano che ha assunto il ruolo in questo allestimento. L'orchestrazione è evocativa: flauti e arpe creano un’atmosfera eterea, come in un mondo parallelo, sognato. Ophélie è stilizzata da Thomas in una vittima romantica e angelicata. Sopraffatta dal dolore, sprofondata in un'irreparabile frattura della coscienza, canta agli uccelli, si rivolge a fiori immaginari e immagina di essere ancora amata. La scena si conclude con un crescendo musicale struggente che accompagna la sua morte per annegamento / suicidio. Nella rappresentazione del Teatro Regio torinese, la morte di Ophélie avviene fuori scena.
La figura di Ofelia è incantevole. Molto amata anche nella pittura preraffaelita, per il suo simbolismo malinconico, la connessione con la natura e la rappresentazione della donna come figura tragica, ineffabile. In pittura, la versione più iconica è sicuramente l’olio su tela di John Everett Millais, realizzata nel 1851-1852, che mi ha incantato più volte alla Tate Britain di Londra, anche per il suo realismo botanico, dove ogni pianta e fiore sono un simbolo e la morte della fanciulla è quasi un’estasi, un dissolvimento romantico nella natura.
Tornando all'opera lirica presentata a Torino, il cast è di grande qualità, con il tenore nordamericano John Osborn, elogiato nel ruolo di Hamlet, e il soprano catalano Sara Blanch nel ruolo di Ophélie.
La direzione musicale di Jérémie Rhorer ha valorizzato i contrasti, esaltando sia le scene più drammatiche, sia i momenti di lirismo.
La regia di Jacopo Spirei è apprezzata. La scenografia e i costumi sono ispirati al mondo gotico vittoriano.
Regia: Jacopo Spirei
Scene: Gary McCann
Costumi: Giada Masi
Coreografia: Ron Howell
Luci: Fiammetta Baldiserri
Maestro del coro: Ulisse Trabacchin
Direttore d'orchestra: Jérémie Rhorer
Orchestra e Coro: Teatro Regio Torino
Durata: circa 3 ore e 40 minuti, con due intervalli
Lingua: francese, con sopratitoli in italiano e francese




Comments