La vicenda è interessante, una storia vera, uno di quei casi, appunto, in cui la realtà supera la fantasia. La regista ce la racconta con un documentario di due ore, efficace ma di fattura un po' meno pregevole dei film documentari prodotti da BBC, lo troviamo in streaming internazionale Netflix, in prima visione il 2 febbraio 2022. Sulla popolare app di incontri Tinder, il supermercato dei possibili partner, in un'epoca in cui non pare più possibile incontrarsi in altri modi, sta un truffatore seriale, che è riuscito a farsi dare 10 milioni di dollari da varie donne attirate dalla promessa di una relazione sentimentale importante. Recentemente l'individuo è stato bandito da Tinder, ma per le sue truffe, altamente lesive, ha scontato soltanto quattro o cinque mesi di prigione. Un uomo israeliano di modestissime origini, con pochi complici, si presenta sotto mentite spoglie: tra i vari alias, sfruttò in particolare la falsa identità di Simon Leviev, fingendosi figlio del miliardario israeliano Lev Leviev, gigantesco businessman dei diamanti. La storia, scabrosa e choccante, è testimoniata da tre delle sue innumerevoli vittime, tre donne che si sono coraggiosamente esposte con l'intento di fermarlo, Cecilie Fjellhøy, Pernilla Sjöholm e Ayleen Charlotte.
Con i soldi dati da una donna, seduceva la donna successiva, in una concatenazione di truffe che si sovrapponevano, nelle quali reiterava sempre lo stesso inganno, in una sorta di 'Ponzi scheme'. L'uomo, sulla quarantina, è il tipico medio-orientale/levantino occidentalizzato, il suo aspetto del Mediterraneo del Sud può attrarre in particolare le donne nordiche. Ma ciò che ha funzionato è il suo abbigliamento 'elegante', fatto di giacca, cravatta e abiti firmati. È questo il look considerato vincente presso alcune donne che cercano l'uomo serio, committed, affidabile. Un abbigliamento "da persona seria" viene scambiato per la capacità di autentico impegno nella vita e nelle relazioni. Ci ha fatto pensare alla divertente commedia Ho Fatto Splash di Maurizio Nichetti, (1980), dove a Milano il ladro è un impeccabile gentleman in giacca e cravatta, mentre il tizio smandrappato è un ragazzo bravissimo, ma temuto nel circondario per il suo aspetto "poco raccomandabile". Viene naturale domandarsi anche perché le vittime di Shimon Yehuda Hayut, questo il vero nome dell'impostore, non facoltose, abbiano tirato fuori tantissimi soldi propri, decine e decine di migliaia di euro, fino a indebitarsi spaventosamente: avendo osservato e goduto di uno sfoggio di denaro immenso, erano convinte di non rischiare nulla e che avrebbero riavuto il "prestito" dall'uomo. Ingenuità. Animo troppo generoso. False speranze del Principe Azzurro. Il quadro esposto nel docudrama è chiaro: una donna vive un vuoto interiore, nonostante le sue qualità, soffre un senso di incompletezza e per inesperienza si fa manipolare da un narcisista abile, che punta sulle credenze diffuse (tuttora!) nella nostra società, tra le quali il fatto che da un momento all'altro il Principe arrivi "su un cavallo bianco" a dare un senso alla vita di lei, che pare non averne senza l'apporto di un uomo paternalista (in inglese patronizing rende ancor meglio l'idea), che la affranchi dalle fatiche del vivere. Ma in questa vicenda la tendenza è psicologicamente ancora più sottile perché è l'uomo, il truffatore, a fare appello alle cure della donna-vittima, facendole credere di essere in pericolo, addirittura di vita, simulando un crimine, e che soltanto lei può salvarlo. Donna-angelo salvifico, uomo-principe azzurro: un ossidato meccanismo completamente falso.
lo scammer Shimon Yehuda Hayut nella sua impersonificazione del miliardario Simon Leviev
Cecilie, Pernilla e Ayleen, tre donne reali, tre delle molte vittime dello scammer
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