durata 2 h 3'
un film potente con un messaggio trasformativo
un bel film autoriale sulla luce e sull'ombra nella vita e sul prenderla con quieto e dignitoso incantamento
un film sulla solitudine, una contemplazione poetica dell'esistenza umana
un film dove la narrazione è costituita anche dalle canzoni scelte per la colonna sonora, che non è un accompagnamento della narrazione, ma è la narrazione stessa
un film Zen fortemente ispirato alla cinematografia giapponese
da vedere
Il grande regista tedesco è da sempre appassionato del Cinema giapponese e del Giappone.
In particolare, Wenders realizzò nel 1985 un documentario intitolato Tokyo-Ga ("Immagini di Tokyo") alla ricerca dei luoghi cinematografici di uno degli inarrivabili Maestri del Cinema giapponese, il regista Yasujirō Ozu (1903-1963). Wenders è un ammiratore dello stile di Ozu, la cui cinematografia conobbe negli Anni Settanta. E nel 1990 Wenders realizzò Notebook On Cities And Clothes, un documentario sul fashion designer giapponese Yohji Yamamoto, che includeva riflessioni sulle città. Questo film Zen di Wim Wenders, girato in lingua giapponese, è l’opera più recente del Maestro tedesco, oggi 78enne, e ha conquistato un privilegio: quello di essere il primo film scritto e diretto da un non-giapponese e un non-residente in Giappone a essere selezionato come miglior candidato giapponese per gli Academy Awards di quest'anno, i 96°, che si svolgeranno a Los Angeles l'11 marzo 2024. Ed è stato accolto con favore anche in Giappone, perché non commette il tipico errore di rendere "esotica" e turistica la visione del Giappone. (Errore grave fatto spesso; per esempio viene ricordato molto negativamente in Giappone il film storico di Rob Marshall Memoirs of a Geisha (2005), che esoticizzava la cultura Geisha.)
Il copione originale del film è stato scritto da Wenders in collaborazione con lo sceneggiatore giapponese Takuma Takasaki. Wenders ha scelto per protagonista una star del cinema giapponese, un eccellente attore e premiatissimo, Koji Yakusho: anche premiato Miglior Attore al Film Festival di Cannes del 2023.
Il viso molto bello di Yakusho e la sua espressività hanno una apoteosi nella scena finale di Perfect Days, quando Yakusho -nel ruolo del solitario Hirayama- sceglie di ascoltare la canzone Feeling Good (1965), meravigliosamente interpretata da Nina Simone, e la vive dentro di sé parola per parola: "It’s a new dawn / It’s a new day / It’s a new life for me / And I’m feelin’ good" , in bilico tra gioia e dolore, tra risate sospese e lacrime trattenute, reazioni sorprendenti dell'uomo solitario cui la vita pone davanti una nuova possibilità... Il protagonista lavora come addetto alle pulizie di bagni pubblici con impeccabile dignità e coscienzioso impegno, senza provare la minima umiliazione; i suoi luoghi di lavoro sono i bagni pubblici cittadini creati da famosi architetti e designer, nella zona di Shibuya, la immensa e prestigiosa 'City' di alta finanza, commercio, cultura. È tradizione in Giappone che gli architetti importanti progettino bellissimi e avveniristici bagni pubblici e li realizzino per la città senza richiedere alcun compenso. Questo nuovo eroe di Wenders vive in un appartamento vecchiotto e modesto a Oshiage vicino alla torre neo-futurista Tokyo Skytree. La torre della televisione è bellissima, si staglia contro il cielo che Hirayama osserva molto spesso con incantamento e gratitudine.
Hirayama segna la sua differenza rispetto al comune e all'ordinario con la sua attenzione meticolosa ai dettagli, (usa uno specchietto per ispezionare i punti nascosti dei bagni e rintracciare i residui di sporcizia) e per la costante buona volontà con la quale intraprende ogni giornata e ogni azione del suo lavoro, con assoluto senso del dovere verso la comunità. La differenza è in realtà una superiorità, ma non vi è alcuna allusione a ciò, non vi è alcuna superbia o spocchia, né nel regista, né nel personaggio.
L'uomo sorride divertito e benevolo alle peculiarità e alle debolezze della gente.
Ha un atteggiamento esplorativo costante verso la vita, in una ricerca semplice e immediata delle risposte ai fenomeni naturali, mosso dalla propria curiosità intellettuale e contemporaneamente dalla compassione verso le altre esistenze: si veda per esempio la scena verso la fine del film in cui cerca immediatamente di rispondere al quesito dell'uomo dal destino segnato, Tomoyama (Tomokazu Miura), sul fenomeno delle ombre che si sovrappongono, proponendogli di scoprire insieme la risposta, che è anche metafora dei destini dei due uomini rispetto alla donna amata.
Hirayama si dedica, nel gentilmente centellinato tempo libero, all'arte di fotografare il komorebi, quell'istante unico e irripetibile in cui le foglie di un albero che ondeggiano al vento lasciano filtrare la luce e creano ombre. Komorebi è uno spettacolo che gli artisti hanno spesso cercato di catturare. La bellissima immagine naturale rimirata in silenzio è la metafora del cercare piccoli punti di luce scintillante in mezzo ai momenti bui della vita. Komorebi è il trovare quegli incantati piccoli raggi di luce, ricaricarsi e continuare al meglio la vita, cogliendo pienamente la bellezza dell'istante presente.
Wenders spiega il komorebi nel fotogramma finale del film dopo i titoli di coda.
Hirayama è un uomo maturo, vive nel presente con semplice gioia e profonda gentilezza, il suo cospicuo passato, se lo è lasciato alle spalle. La sua routine quotidiana si svolge con una regolarità monastica: si sveglia ogni mattina prima dell'alba al fruscio prodotto da una vicina che spazza le foglie dal marciapiede con una scopa di saggina; per colazione beve una lattina di caffè acquistata alla macchinetta; sceglie e ascolta in auto audio-cassette rock d'epoca, (da collezione, infatti ognuna, come Hirayama apprende insieme al suo giovane agitato collega che tenta di convincerlo a venderle, può valere 12.000 yen, 80€), mentre va e torna dal lavoro; pranza tutti i giorni con un tramezzino su una panchina del bosco sacro accanto a una sede del suo lavoro, dove, dopo aver chiesto con un cenno il permesso al monaco, adotta un germoglio di acero, la cui crescita curerà con devozione e gratitudine a casa; fotografa le fronde degli alberi con una Olympus tascabile a pellicola; dopo il lavoro va subito a lavarsi con grande cura nel bagno pubblico del suo quartiere; raggiunge agilmente in bicicletta la abituale locanda per cenare; prima di addormentarsi legge sdraiato sul futon della sua disadorna camera da letto romanzi in edizione paperback da 100 yen; fa meravigliosi sogni "komorebi" in bianco e nero, (sogni molto belli che vediamo ogni notte, allestiti dalla moglie del regista, la fotografa berlinese Donata Wenders); si risveglia naturalmente ogni giorno alla stessa ora, pronto a ricominciare le sue diligenti abitudini, restando sensibile alla bellezza intorno a sé.
Nel raccontare il suo protagonista, il regista ha un approccio documentaristico e dice: "Hirayama vive modestamente come una persona di servizio, invisibile agli altri, mentre lui vede ogni cosa. La routine non è un peso per lui, al contrario gli da molta libertà. Il termine routine viene spesso utilizzato con connotazioni negative, ma Hirayama lo sperimenta come un rituale e ogni volta che lo ripete è come fosse la prima volta."
A un certo punto della storia, apprendiamo che, nonostante la sua serena quotidianità, espressa con il radioso sorriso di Yakusho, Hirayama ha tristezze nel retro della sua mente, riferite a un passato problematico che non ci verrà raccontato che per cenni. Una cosa molto importante di questo film è che quello che Wim Wenders sceglie di non raccontarci ci viene raccontato tramite la musica diegetica che il protagonista seleziona e ascolta nel suo van.
Canzoni molto belle degli Anni Sessanta e Settanta di rock anglo-americano, le cui parole e musiche Hirayama sceglie per accompagnare la sua giornata solitaria e la sua vita. Per quanto le canzoni siano tutte notissime, la musica della colonna sonora è tutt'altro che scontata o invadente. Tuttavia, sarebbe stato bello che si fossero scelte canzoni un po' più rare. Le più interessanti tra quelle inserite nel film sono infatti le due o tre canzoni meno ascoltate, cioè Sleepy City degli Stones, la ammaliante versione giapponese di "Casa del Sol Levante" e Redondo Beach di Patti Smith. Le canzoni sono state evidentemente scelte per il significato del testo che si abbinava alla scena, quindi per motivi narrativi.
La cosa giusta e perfetta in questo film è appunto che questa musica non è affatto extradiegetica, non è un commento al film che arriva sovrapposto dall'esterno. Invece, è parte integrante del racconto e proviene dall'interno della narrazione, collegata alle esperienze dei personaggi, scena per scena.
Gli uomini di Wim Wenders sono uomini che vogliono sfuggire silenziosamente a un passato difficile, andando via, cambiando luogo, e hanno speranza, credono ancora nel presente e nel futuro. Il protagonista di Perfect Days ha consapevolmente cambiato vita, da una vita precedente non meglio definita, di considerevole agio e cultura; apprendiamo dal dialogo scarno con la sorella, giunta su una grande berlina con autista privato, che Hirayama si allontanò da un cattivo padre. Spiega il regista: "Hirayama a un certo punto decise di lasciare una condizione sociale di privilegio estremo a favore di una vita semplice che conduce con piacere: è felice."
Nella prima metà del film vediamo Hirayama che vive in maniera rituale e ripetitiva: lavora in solitudine quasi senza parole, interrotto da poche buffe interazioni con un giovane collega trasandato e scansafatiche Takashi (Tokio Emoto) e la sua bellissima ragazza (Aoi Yamada), che rimane affascinata da Redondo Beach di Patti Smith e dalle parole della canzone che paiono riguardarla... “an angel with apple-blonde hair, now I went looking for you, are you gone gone?" Hirayama osserva con profonda soddisfazione che la sua musica è compresa e "parla" anche alla ragazza.
Aiuta un bambinetto a ritrovare la mamma; stabilisce una comunicazione emotiva con un vagabondo disconnesso dalla realtà; va a cenare bevendo il suo solito bicchiere con tanto ghiaccio di chūhai, una bevanda dolce leggermente alcoolica e dissetante (liquore d'orzo, acqua gassata, aroma di limone); va in libreria a comprare tascabili; va a lavarsi ritualmente; a fare la lavatrice settimanale. Sapremo in seguito che ha smesso di fumare e di bere alcool forte.
Nella seconda metà del film, quando la sua nipote adolescente Niko (Arisa Nakano), figlia della sorella persa di vista da anni, arriva improvvisamente, dopo un litigio con la madre, una complessità si inserisce nella sua ritualità "perfetta", ma Hirayama la accoglie nella sua vita nella abituale maniera istantanea e porterà con sé la ragazzina nel suo quartiere e al lavoro.
Così riprende la cronaca essenziale del wendersiano corso del tempo. Si veda il road movie di Wim Wenders del 1976 Im Lauf der Zeit , Nel Corso del Tempo, un film giovanile con la stessa idea di fondo, scarni dialoghi e la musica che contribuisce a raccontare.
D'altra parte, l'estetica e il ritmo di Perfect Days sono reminiscenti delle opere di Wenders degli Anni Settanta, Ottanta e Novanta, dominate da personaggi solitari, calmi e fermi di fronte alle avversità e aperti alla meraviglia della vita. Spesso uomini che scelgono di fuggire dalla vita precedente, diventata insostenibile, verso un altrove.
In una delle scene più belle di Perfect Days, Hirayama va al suo abituale diner; la titolare e cuoca è una donna, Mama, (l'attrice Sayuri Ishikawa), che lo tratta con affetto; a un certo punto Mama canta per il suo piccolo pubblico di avventori con voce incantevole una bellissima versione giapponese di The House of The Rising Sun, traditional blues portato alla ribalta dalla band inglese The Animals nel 1964. Un cliente abituale della locanda (Morio Agata) accompagna alla chitarra. La versione giapponese è della cantautrice Maki Asakawa.
Queste sono le bellissime canzoni che Wenders seleziona accuratamente per raccontarci la storia dei giorni perfetti di Hirayama: The House of the Rising Sun, Traditional / The Animals, 1964
Pale Blue Eyes di Lou Reed / The Velvet Underground, 1969
(Sittin' On) The Dock of the Bay di Otis Redding, 1968
Redondo Beach di Patti Smith, prodotta da John Cale, 1975
(Walkin' Thru The) Sleepy City di Jagger/Richards / The Rolling Stones, 1964
Perfect Day di Velvet Underground, 1972
Aoi Sakana della cantautrice giapponese Sachiko Kanenobu, 1972
Sunny Afternoon, Ray Davies / The Kinks, 1966
The House of the Rising Sun, (La Casa del Sol Levante), Japanese version di Maki Asakawa, 1972
Brown Eyed Girl di Van Morrison, 1967
Feeling Good di Nina Simone, 1965
Perfect Day, Velvet Underground, nella versione per pianoforte solo di Patrick Watson
La canzone Perfect Day dei Velvet Underground ha evocato il titolo del film, con un collegamento ideativo -se vogliamo- un po' ovvio. Canzone iconica, fu prodotta, come il resto dell'album Transformer (1972), da David Bowie e Mick Ronson, all'epoca chitarrista degli Spiders from Mars, autore anche dell'arrangiamento e dell'accompagnamento al pianoforte.
Wenders ha sempre amato Lou Reed. Si pensi al film Palermo Shooting del 2008 in cui Lou Reed compare in una visione, nella scena della canzone Some Kinda Love dei Velvet Underground e ne recita alcuni versi al protagonista: "Some kinds of love / Are mistaken for vision / Put jelly on your shoulder / Let's do what you fear most / That from which you recoil / What you fear most / What makes you recoil"
La strepitosa band inglese The Kinks è anche un amore di sempre per il regista. Ai Kinks dedicò il film Summer in the City del 1971, dei quali usò numerose canzoni e la band compariva nel film in televisione.
I romanzi che il protagonista legge nel film sono ben evidenziati: di William Faulkner il romanzo drammatico The Wild Palms (1939); poi legge Eleven (1970), gli undici racconti di Patricia Highsmith, (il cui titolo italiano è Urla d'Amore), libro donato alla nipote Niko che dice di sentirsi simile al personaggio Victor del racconto La Tartaruga, e quindi ricomprato; dopo legge L'Albero, un romanzo della scrittrice giapponese Aya Kōda, poco tradotta in Occidente.
Wim Wenders nel talk a distanza, svolto l'11 gennaio 2024 con il suo pubblico italiano, in cui ha sostanzialmente spiegato il film, (devo dire che -per me- Perfect Days è un film che non richiede spiegazioni), ha detto che una compilation su una musicassetta, oltre a essere compatibile con l'età del personaggio, è ben diversa da una playlist, che consente anche un accesso random alle varie tracce.
Invece, -dice il regista-, "era importante decidere quando, cosa e in che ordine lui ascoltasse la musica. Una compilation è qualcosa di completamente diverso da una playlist. La playlist ha il difetto di non avere un inizio né una fine, non c’è un ordine particolare. La compilation, invece, è una storia. Dunque, abbiamo raccontato la nostra storia come se fosse una audio-cassetta. La musica va di pari passo con il film, perché la musica stessa racconta qualcosa. È parte stessa della narrazione del film."
Wenders e Takashi hanno compreso, mentre stendevano la sceneggiatura, che "Hirayama avrebbe passato circa mezz’ora al giorno in auto, che lui aveva bisogno soltanto di un’auto per andare al lavoro, solo lui nella cabina dell’auto e la sua musica, ci siamo detti che con un furgone vecchio del genere era ovvio che dovesse ascoltare la musica su audio-cassette."
Filosoficamente, nei dialoghi con la nipotina, Hirayama afferma che ogni uomo è un mondo a sé e non comunicante con i mondi degli altri, che tuttavia a volte si intersecano. Ecco il filosofico dialogo tra Hirayama e la nipotina Niko, mentre pedalano fianco a fianco con le loro biciclette:
Hirayama (risponde alla nipote che gli ha chiesto perché non vada d'accordo con sua madre): "Questo mondo è davvero fatto di tanti mondi. Ci sono mondi che sembrano essere collegati, ma non lo sono. Il mondo in cui mi trovo è diverso dal mondo della mamma di Niko." Niko: "E io? In quale mondo sono?" Hirayama (ferma la bicicletta) "......" (non risponde) Niko (scendendo dalla bicicletta e guardando il flusso del fiume Sumida di fronte a lui) "Se continui fino a laggiù, c'è l'oceano?" Hirayama: "Sì, l'oceano." Niko: "Andiamo?" Hirayama: "...... la prossima volta." Niko: "Quando sarà la prossima volta?" Hirayama (guardando Niko) "La prossima volta è la prossima volta, adesso è adesso." Niko (riflettendo) "...... la prossima volta è la prossima volta, adesso è adesso." Rimontano in sella alle loro biciclette, zigzagando uno accanto all'altra ripetendo l'assioma come una canzoncina.
Il finale del film (da leggere dopo aver visto il film)
PlanetClaire propone questa lettura della scena finale del film:
Hirayama sceglie di ascoltare (I'm) Feeling Good nell'interpretazione della grandissima Nina Simone e, mentre ascolta la bellissima canzone e ne segue le parole, (È un nuovo inizio / è una nuova alba / è un nuovo giorno /è una nuova vita per me / E io mi sento bene!"), si commuove profondamente e sul viso gli si dipingono risate di gioia che trattiene e lacrime di dolore ugualmente trattenute. Queste vivide reazioni emotive sono le reazioni dell'uomo solitario, disarmato di fronte alla prospettiva di poter vivere i suoi sentimenti romantici con Mama, la donna della locanda, dopo che ha scoperto da poche ore che è sola anche lei, che non ha un compagno o un amante, e anzi il suo ex-marito morente addirittura gliela "affida", quando dice a Hirayama "Ti prego, abbi cura di lei." Così, Hirayama, motivato da questa consegna morale e rassicurato dal fatto di non avere un rivale, ha la nuova consapevolezza che potrà vivere questo nuovo amore che gli cambierà la vita. Al tempo stesso, sente che, per vivere questo amore, dovrà dolorosamente rinunciare alla libertà perfetta dell'uomo solo, e alla felicità perfetta dell'uomo solo. Da qui il mix di emozioni contrastanti che gli si leggono in viso. Un viso così leggibile proprio perché è il viso di un uomo abituato alla solitudine, quindi vulnerabile, scoperto. Un uomo comunque pronto a partecipare della vita con tutto se stesso.
Un finale veramente bello.
Shayuri Ishikawa, nella parte di Mama
la nipote adolescente Niko (Arisa Nakano)
Nelle due fotografie qui sopra, la prima immagine è da TARDA PRIMAVERA ("Banshun", 晩春, Ozu Yasujirō, Giappone 1949); la seconda fotografia è da PERFECT DAYS (Wim Wenders, Germania/Giappone, 2023) Ozu unisce i due personaggi nel gesto simultaneo del bere mettendoli entrambi a fuoco.
Wenders mette a fuoco soltanto la fanciulla.
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