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Nonostante, il secondo film di Valerio Mastandrea è una bella commedia con temi toccanti, trattati con leggerezza: l’amore che sopravvive all’oblio, la presenza che si nasconde nell’assenza.

  • Writer: Planet Claire
    Planet Claire
  • 10 hours ago
  • 4 min read

Nonostante (2024) di Valerio Mastandrea

durata: 1h33'


Valerio Mastandrea torna con Nonostante a confermare la sua bella sensibilità attoriale e la intelligente coscienza registico-autoriale. Apprezzo molto la scrittura cinematografica di Mastandrea, il rispetto con cui stempera situazioni tragiche. È la sua seconda prova dietro la macchina da presa: aveva firmato il precedente ottimo Ride (2018), con Chiara Martegiani nel ruolo della giovane vedova Carolina.

Nei film di Mastandrea l'intelligenza dell'autore è espressa fin dai titoli, linguisticamente interessanti.

Qui, oltre a dirigere, Mastandrea firma la sceneggiatura insieme a Enrico Audenino, (già co-sceneggiatore di Ride), ed è l'attore protagonista; inoltre coproduce con la propria casa Damocle (in collaborazione con HT Film, Tenderstories e Rai Cinema). Insomma, ci ha infuso impegno e cuore. Il film ha vinto il Nastro d'Argento per il miglior soggetto, premio conferito dal Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici.


La storia è ambientata in un ospedale, ma il film non è un medical drama: è un racconto metaforico sulla vulnerabilità dell’animo umano e sulla forza dell’amore, l’unico impulso capace di risvegliare chi è rimasto fermo nel tempo.


Siamo in una sorta di limbo ospedaliero: un uomo, "Lui", interpretato dallo stesso Mastandrea, sembra godere della quiete di una routine apparentemente estranea alle ansie del mondo esterno, in cui la condizione di paziente assume quasi le vesti di un rifugio inconsueto e rasserenante. Progressivamente emerge il dispositivo metaforico su cui si fonda la narrazione: l'uomo è in stato di coma, visibile nella sua “attività” soltanto agli altri pazienti come lui, che sono le figure sospese tra la vita e la morte, animate da una presenza interiore capace di amicizia, ironia e amore. In questa terra di mezzo, i personaggi, immersi nello stato comatoso, hanno corpi immobili ma coscienze libere, sono tra loro compagni di un’esistenza "assente" e invisibile ai vivi.


L’equilibrio di quel mondo sospeso è scosso dall’arrivo di una nuova ricoverata, "Lei" interpretata da una vibrante Dolores Fonzi. Lei, vittima di un incidente d'auto, è insofferente all’immobilità imposta, portavoce di un desiderio brutale e commovente di vita. La sua energia intacca l’apparente serenità dell’uomo e lo sprona a confrontarsi con le proprie emozioni e fragilità, ridiventando partecipe di quella tensione affettiva che sembrava - in vita - dimenticata. L’amore germoglia nel limbo: un legame tanto profondo quanto doloroso, perché privo di visibilità e soprattutto di futuro.


Il cast comprende Lino Musella (“Curiosone”), una presenza impicciona e vagamente consolatoria; Laura Morante (“Veterana”), e altri interpreti della comunità del reparto: Giorgio Montanini nei panni di un volontario, Justin Alexander Korovkin (“Giovane Nonostante”), Barbara Ronchi, Luca Lionello. Ciascuna figura contribuisce a tessere una sensibilità collettiva, dando dignità a questi ‘spiriti’ sospesi.


Il tono dell’opera è in raffinato dolce-amaro equilibrio tra tragicommedia e poesia. Il registro narrativo richiama atmosfere quasi buzzatiane, tra realtà e anti-realismo fantastico. In Mastandrea ironia e gravitas convivono in una leggerezza molto bella. Sullo sfondo di questa storia si profilano da un lato, la tentazione esistenziale dell’immobilismo, l’inerzia come rifugio nelle nebbie dell’esistere; dall’altro lato, il desiderio di sapere, di sentire, di amare, quel “nonostante” che rimanda alla resistenza poetica.


Mastandrea ha raccontato di aver scelto il coma come ambientazione estrema per raccontare una storia d’amore in modo originale e autentico, con grande pudore verso la realtà clinica, nonostante una consulenza scientifica di un’esperta neurologa abbia guidato la rappresentazione.


Il titolo 'Nonostante' incarna il cuore metafisico del film: evoca l’idea di chi resiste alle sofferenze della vita, l’amore che persiste laddove tutto sembra dissolversi, secondo uno spunto poetico mutuato dallo scrittore novecentesco Angelo Maria Ripellino, che ha ispirato a Mastandrea il titolo della sua opera.


Vita di A. M. Ripellino


Vita, non abbandonarmi. Comunque tu sia, cactus, coltello,


daga, cappio, ferro in fuoco, oscurità, malsanía,


sei sempre vita, e frullina e leggiadra e civetta:


anche se nonostante, continuo ad amarti.


Comunque tu sia, laida e scrignuta e streghesca e malvagia,


sei sempre vita, e preziosa nel mio lapidario.


Verde riviera, non abbandonarmi:


anche se involto d’atroce malinconia,


non voglio smarrirti, zitella dal fiato pesante,


guercia bigotta, garrula becchina,


tu rogna e affrantura, tu amore, mia vita,


tu limpida vita, tu vita inimica, ma vita.


Mastandrea ha spiegato che ha scelto la parola nonostante come emblema del suo film, per condensare l’idea di tenacia, di sopravvivenza emotiva, di amore che si afferma “nonostante” tutto, persino in un limbo sospeso come quello che racconta nella sua storia.


Nonostante è una riflessione esistenziale e affettiva, dove la regia sensibile di Mastandrea, la sua recitazione misurata e la scrittura poetica convergono in un racconto dotato di impeccabile equilibrio, privo di retorica.


Il risultato è un’opera che resta memorabile per carica emotiva, delicatezza poetica e consapevolezza drammaturgica, nonché per la tenerezza del saper parlare del dolore, del limite.





spoiler alert: il finale (da non leggere adesso per chi non ha ancora visto il film)


Nel finale tragico del film, quel limbo si incrina irreversibilmente. Lei comincia a risvegliarsi alla vita, mentre si attiva un vento impetuoso: simbolo dell’inevitabilità della fine. Lui assiste impotente alla ripresa alla vita di lei, sapendo che, con essa, svaniranno i ricordi del loro amore sospeso. La realtà trascina il corpo immobile di Lui verso la morte. In un ultimo gesto di generosità disperata, Lui chiede all’unico essere tra i vivi che può percepirlo, il medium, di trasmettere a Lei, ormai ritornata alla vita, l’essenza di quel legame amoroso ineffabile: soltanto attraverso quel tramite può sperare di rimanere, anche se invisibile.


Segue una scena finale che libera la poesia tragica del racconto: in un bar, Lei è seduta con il medium e chiede un calice di vino. “Per me una birra”, dice Lui, come se fosse ancora là.

Tra il visibile e l’invisibile, tra il ricordo e il vuoto, si compie l’ultimo atto di resistenza: il suo spirito rivendica un’esistenza che non svanisce, “nonostante” la fine.


Il finale è così un’eco struggente: l’amore che sopravvive all’oblio, la presenza che si nasconde nell’assenza.


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un vento implacabile si porta via il morituro
un vento implacabile si porta via il morituro


il personaggio di "Lei" è interpretato da Dolores Fonzi
il personaggio di "Lei" è interpretato da Dolores Fonzi

















Il protagonista parla con il medium cercando una soluzione perché il suo amore sopravviva  nonostante la sparizione della morte
Il protagonista parla con il medium cercando una soluzione perché il suo amore sopravviva nonostante la sparizione della morte









Valerio Mastandrea sul set
Valerio Mastandrea sul set


 
 
 

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