40 TFF OFFICIAL SELECTION FUORI CONCORSO "Ritratti e Paesaggi"
Chi aveva apprezzato il film di Lina Wertmüller Io Speriamo Che Me La Cavo (1992), con Paolo Villaggio nel ruolo del Maestro, forse non si pone affatto la domanda "Come è poi andata a quei bambini, oggi?" Quell'affresco sorridente e poetico del disagio socio-economico del Sud Italia e quella (latente) denuncia sociale hanno fatto storia a sé.
Ma uno dei protagonisti di allora, Adriano Pantaleo, uno degli ex-bambini del film di Wertmüller, che interpretava il ribelle Vincenzino, oggi 37enne, ha ideato il documentario come follow-up della vicenda.
Il regista Giuseppe Marco Albano ha costruito insieme a lui la storia della reunion degli ex-alunni. Il progetto si è concretizzato in seno alla Film Commission Regione Campania.
Wertmüller diceva che "il film si scrive tre volte: quando si scrive, quando si filma, quando si realizza il montaggio". Abbracciava l'imprevisto, pensava con leggerezza e ironia.
Il documentario attuale naturalmente vuole anche omaggiare la grande regista, che -poco prima di spegnersi- approvò questo progetto di rinnovare la memoria dell'opera di trent'anni prima.
La cosa più bella di quella storia di inizio Anni Novanta, divenuta un cult, è e resta l'anacoluto del titolo "Io Speriamo Che Me La Cavo".
La frase era la conclusione di un tema in classe: infatti, tutto lo story-telling era basato sull'omonimo libro di Marcello D'Orta, maestro elementare napoletano che raccolse e pubblicò sessanta temi in classe in un libro che divenne un caso editoriale italiano, con due milioni di copie vendute.
Il film del 1992, come il libro, testimoniavano il talento di sopravvivere nei quartieri poveri e quella idea di realtà che sa un po' di realismo magico: Napoli insegna tanto a prevedere quello che succederà.
Oggi il documentario del 2022 risulta un po' zuppo della retorica melensa della reunion.
C'è chi è diventato un attore affermato, come lo stesso Adriano Pantaleo e come Ciro Esposito, che interpretava il bambino Raffaele, divenuto poi un attore molto noto, in particolare di serie televisive come Gomorra.
Altri sono nel commercio; Mario Bianco che intepretava Nicola, il bambino che voleva mangiare sempre brioche, è rimasto nel mondo dei dolciumi aprendo una catena di croissanterie notturne della movida.
Molti hanno figli bambini della stessa età che avevano loro quando il film fu girato e in famiglia c'è -ovviamente- il mito di quella pellicola.
Altri sono passati per il carcere.
Ma alla fine, tutti quanti, in un modo o nell'altro se la sono cavata.
Il pregio maggiore di questo doc sta nelle belle inquadrature in primissimo piano.
Molto belli anche i ritratti che colgono davvero perfettamente, come in diverse istantanee, l'identità di ciascun bambino raffrontata nel frame all’aspetto dell'adulto odierno.
L'occasione era perfetta per approfondire uno spaccato della Napoli contemporanea. Il documentario, il Cinema del reale, ha questa capacità e si sarebbe potuto ampliare un po' di più l'indagine.
In parte, un'occasione sprecata: pochi sono i cenni a come è cambiata la criminalità oggi, nel territorio, (a dieci anni oggi alcuni bambini sono camorristi, si organizzano in baby-gang, a quattordici anni hanno una "stesa", la pistola. Vivono sapendo che la scelta è tra la delinquenza e la morte; è completamente perduta la spensieratezza.) E pochi sono i cenni a come è cambiata la società nel suo insieme. Sui titoli di coda il rap di Ralph P, che scrive musiche per il Cinema.
il regista Giuseppe Marco Albano (a destra nella foto) con Adriano Pantaleo al Torino Film Festival
Commentaires