durata 116'
L'Arpa Birmana (Biruma No Tategoto) è un capolavoro cinematografico con una storia avvincente e interpretazioni straordinarie (Shōji Yasui è il soldato Mizushima; Rentarō Mikuni è il Capitano Inoue). È un film toccante che affronta il tema dell'orrore e dell'insensatezza della guerra. Kon Ichikawa girò con maestria il primo film sulla guerra visto dalla parte di un soldato giapponese, facendo emergere la profondità delle emozioni e i conflitti interiori dei suoi personaggi.
Il film ci porta negli anni Quaranta, durante l'invasione della Birmania da parte dell'esercito imperiale nipponico, nel tumultuoso teatro di guerra del Sud-Est Asiatico all'epoca della Seconda Guerra Mondiale. La Birmania era colonia britannica e fu identificata come territorio strategico per le mire espansionistiche del Giappone nell'ambito del piano di assalire Cina e India. La Birmania cadde per l'estrema aggressività e rapidità dell'attacco. Ma gli Alleati sconfissero il Giappone.
L'efferatezza della guerra con il suo carico di morte è rappresentata con lirismo in questo racconto antimilitarista.
È la storia, tratta da un romanzo per l'infanzia di Michio Takeyama, premiato e tradotto in inglese sotto l'egida dell'UNESCO, di un giovane soldato giapponese che è suonatore d'arpa nell'esercito. Di fronte a eventi struggenti, darà prova di coraggio e umanità. Gli orrori cui ha assistito lo spingeranno a divenire monaco buddista e gli impediranno di tornare alla vita civile.
Birmania, luglio 1945: il Giappone è sconfitto nella Seconda Guerra Mondiale. Un gruppo di soldati giapponesi in ritirata nella giungla birmana tenta di raggiungere il confine con la Thailandia. La musica è molto importante in questo film. Il giovane Mizushima, per tenere alto il morale dei commilitoni, fabbrica un'arpa birmana rudimentale e canta motivi tradizionali della propria terra. Il tentativo di fuga della compagnia non riesce e devono arrendersi. La notizia della capitolazione del Giappone e della fine della guerra mondiale si diffonde. Gli inglesi chiedono ai prigionieri di guerra giapponesi di fare arrendere anche un altro gruppo di soldati giapponesi che, rifugiatisi in una caverna, hanno deciso di continuare a combattere: il comandante britannico affida la missione a Mizushima. Mizushima tenta di spiegare al capitano dei combattenti giapponesi asserragliati nella caverna che, scaduto il termine imposto, la caverna sarà bombardata. Il soldato viene trattato da vigliacco e da traditore e la resa è rifiutata. Allo scadere dell'ultimatum tutti i soldati muoiono sotto il fuoco dell'artiglieria britannica. Soltanto Mizushima sopravvive, ferito, e un monaco buddista lo raccoglie e lo cura, offrendogli una lezione di umanità. Mizushima, sopraffatto dalla pietas, decide di non ricongiungersi con i commilitoni e di diventare bonzo, per dare onorevole sepoltura ai moltissimi e insepolti corpi dei compatrioti morti. Quando i commilitoni lo rivedono e lo riconoscono, cercano di farlo tornare anche facendogli ascoltare il suo canto preferito, ma egli, che ora indossa gli abiti del monaco, imbraccia l'arpa e intona il "canto dell'addio". Mizushima lascia ai compagni anche una lettera: «Ho superato i monti, guadato i fiumi, come la guerra li aveva superati e guadati in un urlo insano. Ho visto l'erba bruciata, i campi riarsi... perché tanta distruzione caduta sul mondo? E l'Illuminazione mi rischiarò i pensieri. Nessun pensiero umano può dare una risposta a un interrogativo inumano. Io non potevo che portare un poco di pietà laddove non era esistita altro che crudeltà. Quanti dovrebbero avere questa pietà! Allora non importerebbero la guerra, la sofferenza, la distruzione, la paura, se solo potessero da queste nascere alcune lacrime di carità umana. Vorrei continuare in questa mia missione, continuare nel tempo fino alla fine.»
Il film è stato restaurato dalla Cineteca di Bologna e restituito al grande schermo, un gioiello della Storia del Cinema.
Così la critica cinematografica storica:
Il critico cinematografico Leo Pestelli scrisse (1956): "un film di tutta nobiltà che in molti punti si accosta ai vertici della poesia. Lento ma senza vuoti, accorato ma non piagnucoloso, ha un modo carezzevole di condannare la guerra, infinitamente più efficace di tante cariche frontali".
Il filosofo Aldo Capitini, nel suo saggio La compresenza dei morti e dei viventi (1966), scrisse: «religioso indubbiamente è ne L'Arpa Birmana il contrasto tra il piacevolissimo ritorno dei reduci alle cose semplici e quotidiane della vita e la missione di chi resta, solo e piangente, a seppellire i soldati morti».
Il critico Fernaldo Di Giammatteo scrisse (1995) che il film affronta il tema della pietà spinta all'estremo, fin quasi alla follia e all'infatuazione.
Pino e Rossella Farinotti scrissero (2009): l'opera «stempera le visioni degli orrori della guerra in una sorta di contemplazione assorta e ieratica. È forse il film più pacifista sul conflitto mondiale degli ultimi quarant'anni, venato di una tristezza infinita che accomuna amici e nemici».
Morando Morandini parlò (2000) di «poema lirico il cui pacifismo affonda le sue radici nella coscienza religiosa dell'uomo e in un sentimento panteistico. (...) Nella solenne lentezza del suo ritmo largo, affronta senza mediazioni né patetiche né estetizzanti i suoi temi di fondo e raggiunge momenti di dolorosa e maestosa bellezza. L'accompagnamento musicale di Akira Ifukube serve da collante mistico, assumendo propriamente il ruolo di religione, cioè collegamento: tra l'uomo e il mistero, tra uomo e uomo, amico o nemico».
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