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ASTEROID CITY, la più recente opera retro-futurista di Wes Anderson, un film da non perdere

Updated: Oct 14, 2023

ASTEROID CITY regia di Wes Anderson anno di produzione 2022, USA durata 104' uscita in sala internazionale: giugno 2023 uscita in sala in Italia: 14 settembre 2023 Per la presentazione nella competizione Lungometraggi al 76 Festival di Cannes il 23 maggio 2023, il regista con il cast sono arrivati sulla Promenade de la Croisette, davanti al Palais des Festivals, a bordo di un bus Anni Cinquanta, una sorta di "ritorno al futuro".


Nominato per la Palme d'Or, il più recente film dell'eccentrico regista nordamericano è una nuova opera d'arte pop retrofuturista ed è grande cinema.

Si aggiunge così un film delizioso e intelligente, il suo undicesimo, alla lista delle creazioni: Bottle Rocket (1996) Rushmore (1998) The Royal Tenenbaums (2001) The Life Aquatic with Steve Zissou (2004) The Darjeeling Limited (2007) Fantastic Mr. Fox (2009) Moonrise Kingdom (2012) The Grand Budapest Hotel (2014) Isle of Dogs (2018) The French Dispatch (2021) Asteroid City (2022) Il film è ambientato appunto negli Anni Cinquanta in un deserto del Sud degli Stati Uniti, all'epoca degli esperimenti nucleari, proprio come Oppenheimer. "Asteroid City si svolge in un deserto tipo Nevada o Arizona nel 1955, un luogo specifico", dice Wes Anderson. Ma Wes Anderson ama girare in Europa e Asteroid City è girato in Spagna, in un'area agricola tra due paesini a sud di Madrid, Chinchón e Colmenar de Oreja.

L'area, molto pianeggiante, è stata scelta da Wes Anderson per il particolare colore arancione-ocra della terra e un cielo perfettamente blue, tanto da sembrare il deserto del West nordamericano, ma un deserto disegnato! Rocce e cactus realizzati in gomma piuma, automobili vintage, l'illusione di un orizzonte lontano.


E' la storia di una convention di giovanissimi astronomi "Junior Stargazers" riuniti in questa immaginaria minuscola città desertica dove un asteroide cadde tremila anni fa causando un cratere, accanto al quale sorge l'Osservatorio astronomico governativo. Il convegno degli intelligentissimi adolescenti deve premiarne il progetto migliore.

Nella cittadina ci sono soltanto un benzinaio, il meccanico, l'hotel fatto di bungalow (e una tenda), l'osservatorio, un caffè: tutto molto artificioso come in Barbie.


Sconvolgimenti accadono con l'arrivo a sorpresa di un vero e proprio alieno (Jeff Goldblum) che scende da un disco volante, alieno che nell'aspetto ricorda molto l'esilarante Mars Attacks! di Tim Burton, (1996), ma non altrettanto spassoso.

Con Wes Anderson infatti si sorride tutto il tempo in maniera sottile e raffinata, non si tratta di commedie che suscitano grandi risate. Frequenti esplosioni nucleari disegnano sullo sfondo i funghi dei test atomici, cui la tranquilla gente del posto è abituata e che tratta con indifferenza, la tipica noncuranza andersoniana, che al tempo stesso diverte e spiazza lo spettatore.

L'arrivo dell'extraterrestre causerà un lock-down che bloccherà sul posto tutti i personaggi. Chiaramente, l'idea del film è nata durante la pandemia.


Il film è anche la storia preziosa della elaborazione di un lutto. Un fotografo di guerra (Jason Schwartzman) ha perduto la moglie (Margot Robbie) e non riesce a dire della morte della loro mamma alle proprie tre bambine Andromeda, Pandora e Cassiopeia, né al suo dotatissimo figlio adolescente Woodrow, che partecipa alla convention di scienziati in erba, perché It never seemed like the right time”, (Non sembrava mai il momento giusto).

Interverrà lo suocero (Tom Hanks), filosofico: "It's never the right time". Ci sarà un rito funebre propiziatorio inventato dalle tre piccole, per le ceneri della mamma custodite in un Tupperware.


Intanto, l'attraente e famosa attrice Midge Campbell (Scarlett Johansson), in bilico tra depressione suicidaria e gloria di sé come una sorta di Marilyn Monroe, anche lei mamma di una fanciulla molto dotata per la Scienza, si installa nel bungalow di fronte e nasce un flirt tra l'attrice e il fotografo vedovo.


Divertente che le tre scene di sesso del film (anche una con Tilda Swinton, la scienziata direttrice dell'osservatorio) sono completamente "censurate" con un netto taglio e cambio di scena, cioè non sono mai mostrate e sono soltanto alluse, esattamente come avveniva nei film dell'epoca.


Come per altri film, Wes Anderson ha scritto questa sceneggiatura insieme a Roman Coppola, il figlio del grande Francis Ford Coppola. In passato, il co-autore degli script dei film di Wes Anderson era il compagno di scuola Owen Wilson.

Questa volta, i due autori introducono l'espediente, giocato brillantemente, del metacinema.

Infatti, tutta la vicenda ha un prologo, uno svolgimento e un epilogo come commedia teatrale, presentata in televisione in bianco e nero dal conduttore di un programma del 1955 (Bryan Cranston), che ce la descrive come un'opera scritta e portata in palcoscenico da un emotivo e insicuro commediografo (Edward Norton), che ha una relazione con l'attore protagonista. Vari piani di lettura così si sovrappongono, varie storie si intersecano, quasi un gioco di scatole cinesi. Siamo trasportati in una sorta di Actors' Studio newyorkese, dove un celebre insegnante di teatro (Willem Dafoe) e un importante regista (Adrien Brody) dispensano consigli e insegnamenti sulla produzione del lavoro teatrale.

"Nel mio cinema, ci sono rapporti con il teatro, -dice il regista-, e con Bob Wilson, nella luce, nelle forme. Non per il soggetto, ma il teatro c'è nel mio cinema, come è il caso di The French Dispatch e de La Meravigliosa Storia di Henry Sugar, tratto da Roald Dahl."

I personaggi del film hanno dunque un doppio ruolo: sono sia gli attori della commedia teatrale filmata dalla tv, sia i personaggi stessi presenti a Asteroid City. Un pastiche che rimane non caotico, anzi tutto il tempo molto 'cool' e compassato. Come sempre in Wes Anderson, lo stile è laconico e impassibile, intenzionalmente non reattivo davanti alle emozioni.

Solitudine, pathos, vuoto esistenziale, dolore sono condizioni presenti, apparentemente sotto controllo, che lasciano trapelare un che di disfunzionale. Sono raccontate in una maniera che sfugge alle convenzioni narrative, una maniera vagamente malinconica, filosofica. Le azioni dei personaggi paiono strambe o irrazionali, ma non suscitano mai scalpore. E, come tipicamente avviene nei film di Wes Anderson, i personaggi si fanno le grandi domande filosofiche (o si danno fredde, spiazzanti risposte) sui misteri dell'universo e su come usiamo l'arte e la scienza per trovare un senso in un mondo crudele che non può essere compreso o condiviso.


Nel cast stellare compaiono moltissimi attori, mai così tanti e famosi come questa volta. La commedia vive nello spirito degli attori. Oltre ai tanti bravissimi già citati, tra i quali parecchi fanno parte della democratica 'famiglia' professionale del cineasta, che sul set e fuori dal set tratta tutti alla pari, citiamo ancora Liev Schreiber nel ruolo di un genitore, Matt Dillon nel ruolo di un meccanico fatalista, Maya Hawke (figlia di Ethan Hawke e di Uma Thurman) nel ruolo della maestra che ha un flirt con il cowboy Montana (Rupert Friend) e una divertente scena di ballo folk con lui.

Il cantautore inglese Jarvis Cocker interpreta un altro cowboy, ma è anche l'autore della bella canzone, un po' alla Leonard Cohen, che scorre insieme ai titoli di coda (non lasciate la sala prima che siano finiti) You can’t wake up if you don’t fall asleep.

La colonna sonora di Alexandre Desplat ha vette estremamente affascinanti, per esempio i brani Viewing of the Astronomical Ellipses e Special Seminar at the Playwright’s Request (Saltzburg Keitel’s Classroom). È piena zeppa di bellissime canzoni folk d'epoca, usate nel film molto spiritosamente. Una colonna sonora molto godibile e sorprendente.


La straordinaria costumista Milena Canonero, torinese d'origine, (che ha creato magistrali costumi per grandissimi film, da A Clockwork Orange e Barry Lyndon di Stanley Kubrick a Marie Antoniette di Sofia Coppola), crea qui abiti che si fondono con la palette dei colori andersoniani.


Un film davvero notevole, da vedere anche due volte per scoprire i minuziosi, pregevoli, ricercati dettagli e per meglio comprendere l'inusuale estetica delle riprese andersoniane, spesso a camera fissa e frontale, una fissità di sguardo che è la cifra stilistica di questo autore. Una fissità delle riprese che serve a esprimere l'incapacità di comunicare dei personaggi, che hanno tutti, in un modo o nell'altro, una "fissità emozionale", una incomunicabilità "caratteriale".

Penso che il film richieda due visioni anche per non essere più colti alla sprovvista dalle situazioni un po' surreali, bizzarre, al limite dell'assurdo, dell'universo di caos controllato immaginato dall'importante cineasta.







il regista Wes Anderson



Jason Schwartzman e Tom Hanks


Tilda Swinton


Bryan Cranston




Maya Hawke e Rupert Friend replicano il ballo folk del film sul red carpet di Cannes




MILANO - Il regista Wes Anderson e la Fondazione Prada di Milano hanno instaurato una solida collaborazione nel corso degli anni: nel 2015, Wes Anderson ha firmato il Bar Luce all’interno della Fondazione, ispirato alla vecchia Milano e al Neorealismo italiano. Nel 2017 “Il sarcofago di Spitzmaus e altri tesori” è stata la mostra, in collaborazione con il Kunsthistorisches Museum di Vienna, curata da Anderson e dalla compagna Juman Malouf, illustratrice e scrittrice. A partire dal 23 settembre 2023 fino al 7 gennaio 2024, l’istituzione culturale fondata da Miuccia Prada e Patrizio Bertelli presenta la mostra “Wes Anderson – Asteroid City: Exhibition”. Dopo una prima esposizione a Londra, il progetto arriva negli spazi della Galleria Nord della Fondazione, realizzata in collaborazione con Universal Pictures International Italy. Offre la possibilità di immergersi nell’universo creativo di Wes Anderson attraverso scenografie originali, oggetti di scena, costumi e opere d’arte presenti nel film.




(*) Il retro-futurismo, termine coniato nel 1983 dal New York Times e ripreso nel 1984 dal New Yorker, è una corrente artistica contemporanea che mostra il modo in cui il Futuro è stato immaginato in passato, in particolare negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, da scrittori, registi, artisti visivi. Mette in evidenza sia gli effetti alienanti sia il nuovo potere dati dalla tecnologia. Divertente e anche "nostalgico" di un futuro immaginato che mai avvenne.






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