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Writer's picturePlanet Claire

26 FILM FESTIVAL CINEMAMBIENTE Torino, 1-18 giugno 2023 PLASTICA CONNECTION di Teresa Paoli (I, 23)

i film proiettati in sala sono anche disponibili in streaming gratuito sul sito del film festival FINO A DOMENICA 18 GIUGNO 2023


Torna CinemAmbiente, la manifestazione dedicata al Cinema ambientalista nata a Torino in un momento visionario e profetico del 1998.

Giunto alla 26° edizione, CinemAmbiente, come sempre, anticipa i temi del dibattito ambientale dei prossimi anni: il landgrabbing, il nucleare civile, lo spreco alimentare, la siccità, in nuovi modelli economici, e tante altre tematiche, con viaggi in molti angoli della Terra.

La questione ecologica è una questione socioculturale e riguarda un modo di vivere, produrre, consumare, relazionarsi. È una questione economica. La necessità di giustizia climatica è interconnessa con la necessità di giustizia sociale.

Non soltanto documentari, nel programma c'è anche molta fiction, perché i temi ambientali diventano sempre più centrali.


Presentiamo in questo articolo PLASTICA CONNECTION, un documentario molto ben fatto, scritto da Paola Vecchia, e girato da Teresa Paoli. È una produzione RAI3. Durata: 48'.


Praticamente un FILM DELL’ORRORE.

La Turchia è diventata da circa cinque anni il maggiore importatore di plastica europea del mondo. La plastica che i cittadini europei riciclano viene sminuzzata e inviata in Turchia, letteralmente venduta perché sia riciclata. La geniale invenzione della plastica, materiale pressoché “eterno”, in realtà è oggi realizzata in gran parte per un utilizzo di pochi istanti: è la famigerata plastica Usa & Getta.

La produzione di plastica, seguendo la traiettoria attuale, nel 2040 dovrebbe triplicare, mentre cominciamo a renderci conto che il riciclo è un falso mito e, più che risolvere il problema, lo ha complicato e aggravato.

Se andiamo a considerare tutta la storia della plastica, scopriamo che soltanto il 9% della plastica è stato riciclato correttamente, il resto viene bruciato negli inceneritori (producendo miasmi inquinanti e gravemente patogeni), smaltito in discarica, oppure disperso nell’ambiente.

Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace, conferma: "Il riciclo non riesce a pareggiare la produzione. È necessario diminuire la produzione, a partire dalla frazione dell’inutile o superfluo Usa & Getta."

La plastica Usa & Getta è fondamentalmente imballaggio. Ogni volta che facciamo la spesa, compriamo verdura, merendine, carni, compriamo anche il packaging che contiene il prodotto; lo apriamo, scartiamo e lo differenziamo e, dopo la raccolta differenziata organizzata dai Comuni, i rifiuti arrivano all’impianto preposto, dove saranno selezionati.

Il risultato della selezione è la suddivisione in varie tipologie: polietilene a alta densità (flaconi di detersivi); polietilene a bassa densità (buste di plastica); PET colorato delle bottiglie, etc.. Vi è poi il sottoprodotto residuo della attività di selezione, si chiama "PLASMIX", usato per preparare il combustibile energetico secondario, quindi destinato a essere bruciato. Ci sono macchine ad alta tecnologia che selezionano gli oggetti di plastica per dimensioni e costituzione, le liberano da materiali estranei (alluminio e altro); con l'utilizzo di lettori ottici a grande rapidità scartano su nastri scorrevoli automatici gli oggetti non corrispondenti alla richiesta.

Una curiosità: i lettori ottici scartano sempre la plastica nera perché non la possono leggere, quindi la plastica nera non è mai riciclata.

Anche le cose di dimensioni piccole, come l’incarto di una merendina o di un cioccolatino, i giocattoli, le confezioni con carta argentata all’interno, non si possono riciclare.

Il 50% della plastica differenziata e inviata al riciclo è scarto, destinata al “recupero energetico”, termine che nasconde un gigantesco danno ambientale.

C'è un modo per scegliere prodotti il cui packaging sia veramente riciclabile?

I polimeri più importanti sono denominati dall’1 al 6 (vedi foto).

Sulle confezioni del supermercato, è indicata la tipologia della plastica utilizzata per la confezione, secondo un codice preciso creato dalla americana SPI Society of Plastic Industry, ideato da Lewis Freeman, oggi ex-vice presidente della SPI.

La plastica 1 è PET (bottiglie); la plastica 3 è PVC; la plastica 5 è polipropilene; etc.

La plastica 7 è “other”, tutto il resto, non è riciclabile (come ad esempio la rete delle patate).

Il simbolo “Economia Circolare” è ingannevole per il consumatore, non necessariamente significa che il materiale sia riciclabile. L'industria lascia intendere che sia in atto un processo virtuoso, ma la verità è esattamente il contrario.

Un altro esempio di plastiche che non si possono riciclare sono le vaschette degli affettati, dei salumi, dei formaggi e quant’altro; le buste da frigo per la mozzarella; tutte le buste contrassegnate dal codice 7 sono spesso formate dall’accoppiamento di più polimeri, il che le rende non riciclabili.

Va detto che le industrie alimentari in quasi tutti i casi potrebbero produrre il packaging in modo diverso, rendendolo riciclabile, ma non lo fanno.

Il consumatore non se ne accorge, ignaro che sta differenziando una quantità impressionante di involucri che non sa essere non riciclabili: un vero inganno.

Lewis Freeman spiega che il codice è usato spesso in modo improprio dalle aziende, e cioè come strumento di marketing.

Scettico sul successo del riciclo della plastica, evidenzia che nel mondo non si è in grado di raccogliere e selezionare tutta la plastica allo stesso modo.

"L’industria non ha fatto abbastanza, né ha fatto presto, per il problema dei rifiuti. C’è un ritardo di almeno vent’anni, è passato oltre un terzo di secolo dall’invenzione e non è cambiato niente."

L’ingegnere Jan Dell, fondatrice di The Last Beach Cleanup, ha scritto un rapporto sul gigantesco inganno del riciclo della plastica negli USA.

Vi è stato un “lavaggio del cervello”, una manipolazione dei consumatori: negli USA la plastica è riciclabile al 5%, ma il consumatore viene illuso che se getterà la plastica nel contenitore giusto, essa sarà riciclata come avviene per l’alluminio e per la carta.

L’industria sapeva che sarebbe stato così difficile riciclare le plastiche, l’inganno è iniziato negli Anni Novanta, quando l’opinione pubblica cominciò a preoccuparsi dei rifiuti di plastica, a fare pressione, e l’industria della plastica cominciò a promettere che avrebbero costruito numerosi impianti avanzati di riciclo della plastica, e con questa promessa riuscirono a evitare l’imposizione di una tassa governativa sul packaging di plastica. Le industrie poi hanno chiuso gli impianti di riciclo della plastica, sostenendo che fosse anti-economico.

L’idea che si possa riciclare tutta la plastica del pianeta è completamente falsa, la plastica riciclabile è poca, e l'industria della plastica sta inondando il pianeta di plastica a basso costo non riciclabile.

Il 98% di tutta la plastica del mondo è comunque fabbricato nell’industria FOSSILE, a partire da petrolio e gas, e la situazione non sembra migliorare.

Dominic Charles, della Minderoo Foundation, organizzazione filantropica che persegue la campagna NO PLASTIC WASTE, segnala che le emissioni di CO2 relative alla plastica mono-uso sono superiori alle emissioni nette generali inquinanti.

Nel 2021 un aumento di utilizzo di plastica è stato di + 1 kg per ogni persona del pianeta.

La plastica contribuisce evidentemente al cambiamento climatico.

Nello stesso 2021 si è visto un aumento di + 6 milioni di tonnellate di plastica monouso da combustibili fossili.

L’aumento della produzione di plastica da combustibili fossili rispetto alla produzione di plastica da riciclo è di 20 volte superiore.

L’economia della plastica da petrolio e gas è molto più vantaggiosa di quella della plastica da riciclo. Oggi è più conveniente produrre plastica vergine e poi bruciarla o seppellirla piuttosto che raccoglierla e riciclarla.

Entro il 2027 avremo 19 milioni di tonnellate di plastica vergine in più e soltanto 1 milione di tonnellate di prodotti da plastica riciclata.

Il Professor Francesco Paolo Lamantía, professore emerito dell'Università di Palermo INSTM, una vita spesa per studiare i polimeri e le potenzialità di riciclo della plastica, spiega: "La plastica mista non ha speranza nel mondo del riciclo, perché è di qualità non resistente. Una plastica fatta con un singolo polimero riciclato una sola volta perde circa il 10% delle sue proprietà. Inoltre, non si può riciclare all’infinito. Bisogna diminuire o eliminare la produzione di tutti quei materiali che sono fatti adoperando più polimeri contemporaneamente, in quanto tecnologicamente difficili se non impossibili da riciclare meccanicamente."

In Europa siamo al 38% del riciclo delle plastiche prodotte.

Il problema è avere una buona materia prima per poterla riciclare.

Al Centro Rifiuti Zero di Capannori (Lucca), Rossano Ercolini è attivo nella ricerca Rifiuti Zero, che identifica i prodotti di plastica non riciclabile e contatta le aziende per chiedere un cambiamento.

Un caso noto è il “brik” dell’Esta-thé Ferrero. La azienda piemontese Ferrero, dopo ben tre richieste da parte del Centro Rifiuti Zero, ha finalmente risposto impegnandosi a progettare un cambiamento. I tempi di reazione e di azione sono molto lenti.

Ercolini dice: "Continuiamo a sversare nei mari 10 milioni di tonnellate all’anno, ogni minuto un camion pieno di plastica viene riversato in mare."

Ferrero ha siglato un impegno di arrivare al 100% del packaging riciclabile o riutilizzabile o compostabile entro il 2025, per ora sono arrivati al 37% delle loro confezioni.

Al sollecito, rispondono che "un viaggio verso un packaging riciclabile è in corso"…

In Francia i gruppi di attivisti hanno portato in tribunale la multinazionale di prodotti alimentari Danone appoggiandosi a una legge nazionale che impone alle aziende di ridurre il proprio impatto ambientale.

Rosa Pritchard, avvocato di ClientEarth, una azienda legale ambientalista con uffici a Londra, Brussels, Varsavia, Berlino, Beijing, Madrid e Los Angeles, fondata nel 2008 da James Thornton e da Laura Clarke, che ne è l’Amministratore Delegato (il CEO, Chief Executive Officer), conferma: “I sistemi di riciclo sono sopraffatti dalle quantità di rifiuti che devono gestire. Ecco perché si esporta la plastica.”

La Turchia è dunque attualmente il Paese destinatario della plastica europea. La Turchia ha i fiumi più inquinati d’Europa, con un problema di microplastiche gravissimo: il Professor Sedat Gündogdu, ricercatore e docente universitario, spiega che in Turchia la plastica europea peggiora il problema. Quando la plastica europea deve essere riciclata viene sminuzzata in pezzettini di pochi millimetri e poi deve essere lavata. È così che milioni di microplastiche finiscono nei fiumi, perché le aziende locali non hanno impianti per il trattamento delle acque reflue in grado di intercettare le microplastiche, che poi arrivano al mare, poi ai pesci e poi all’essere umano.

Da anni si batte per fermare l’importazione della plastica europea.

Perché le aziende turche la gettano via nelle discariche abusive? Perché sarebbe da incenerire in quanto non si può riciclare, ma non è legale importare plastica per incenerirla! Inoltre, le aziende non vogliono spendere per lo smaltimento. Fingono di aver raggiunto il target di plastica riciclata previsto dalla legge locale. Un incendio in una azienda di riciclo è un fatto frequentissimo, e dura per tre o quattro mesi: difficilissimo da estinguere, rilascia diossina e molte altre sostanze tossiche in aree agricole, creando un problema di sicurezza alimentare. La plastica contamina anche l’acqua e le pecore e gli altri animali che vanno a bere nelle pozze d’acqua. Fino alla follia di campi di grano che cresce sopra terreni pieni di rifiuti di plastica, coperti da terriccio per poi coltivarci sopra!

Altro fenomeno gravissimo: i rifiuti che dovrebbero andare al riciclo vengono mescolati illegalmente nei container e poi inviati in discariche abusive.

Gozde Sevic di Greenpeace Turchia è una giovane donna che sta lavorando a una campagna per vietare le importazioni di rifiuti di plastica; ci illustra uno studio che rivela che ci sono almeno cinque discariche a cielo aperto, altamente contaminate da inquinanti chimici pericolosi che provengono dal continente europeo, in particolare la diossina e il furano, che causano patologie oncologiche e danneggiano il sistema immunitario.

L’ex-sottosegretario del Ministero dell’Ambiente turco Mustafa Oztürk spiega: “in Europa trattare una tonnellata di plastica costa dai 100 ai 150 dollari; in Turchia il costo è di 10-20 dollari.

In precedenza, l’Europa inviava in Cina i propri rifiuti di plastica in esubero, fino a quando la Cina non li ha più ricevuti.

Ci si chiede perché la Turchia dovrebbe importare rifiuti di plastica, quando non riesce a riciclare i propri.

I rifugiati siriani, tra cui tantissimi bambini, che non possono andare a scuola perché non hanno i documenti, sono quelli che fanno il lavoro tossico di raccolta di questi rifiuti in strada, a piedi: sono i pickers e lavorano dieci-dodici ore al giorno per 200 lire turche (€ 10). Raccolgono circa 300kg di rifiuti al giorno a testa, racconta un operatore sociale, Eyyup Goreke, e il guadagno di questi rifugiati è dimezzato da quando è arrivata la plastica europea, perché le aziende dicono che non hanno bisogno della plastica turca raccolta dai pickers, visto che hanno quella europea. Così i bambini siriani rifugiati vengono ingaggiati anche dalle fabbriche del riciclo, insieme a donne di tutte le età, anche anziane.

Le fabbriche di incenerimento rifiuti plastici si trovano nel mezzo di alcune città turche, dentro ai quartieri residenziali. Per le proteste degli abitanti, che soffrono di asma, non riescono a respirare, si ammalano di cancro, le aziende hanno preso l’abitudine di bruciare i rifiuti di notte, indisturbate.

Con una decisione storica, il Parlamento Europeo il 16 gennaio 2023 ha votato a favore di una mozione della Commissione per l’Ambiente il divieto di esportazione di plastica fuori dalla Unione Europea.

La Environmental Investigation Agency di Londra lavora sul problema delle esportazioni illegali di rifiuti europei. Lauren Weir ci racconta che l’esportazione legale alimenta l’esportazione illegale. I criminali possono mentire sul codice merceologico che non riflette ciò che si trova all’interno del container; possono occultare rifiuti illegali in un container coprendoli con rifiuti “puliti” e selezionati.

I controlli della illegalità non sono la risposta.

La risposta è aumentare il riuso della plastica, è ridurre la plastica.

È l’Unione Europea che si deve assumere la responsabilità dei propri rifiuti.

Perché l’Europa continua a mandare la plastica sporca in Turchia?

Non ci sono confini, esiste un solo ecosistema, quindi se si contamina una parte del mondo questo si ripercuoterà sicuramente su di noi, se mandiamo i nostri rifiuti in un Paese lontano questo contaminerà il prodotto agricolo, ma il prodotto agricolo sarà esportato, sarà mangiato, ci tornerà nel sangue, in un circolo infinito: la plastica è una trappola.

il simbolo dell'Economia Circolare, più un mito che una realtà



Sulle confezioni del supermercato, è indicata la tipologia della plastica utilizzata per la confezione, secondo un codice preciso creato dalla americana SPI Society of Plastic Industry, ideato da Lewis Freeman, oggi ex-vice presidente della SPI.

Nel sistema di codificazione delle differenti tipologie di plastica, il codice 7 "other" si riferisce alle plastiche in nessun caso riciclabili, in cui rientra purtroppo la plastica Usa&Getta.


Le 20 aziende petrolchimiche mondiali che producono plastica monouso (Usa&Getta): in testa la americana Exxon, al secondo posto la cinese Sinopec, e così via, fino alla francese Total Energies, e ancora.



il Parlamento Europeo il 16 gennaio 2023 ha votato a favore di una mozione della Commissione per l’Ambiente il divieto di importazione di plastica fuori dalla Unione Europea.


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