Festival Torino Danza: Chotto Desh (piccola patria) di Akram Khan
- Planet Claire
- Sep 30
- 3 min read
Updated: Oct 2
Akram Khan – Chotto Desh
Quando nel 2015 il celebre coreografo inglese Akram Khan presentò Desh, critica e pubblico riconobbero uno degli assoli più notevoli della danza del nuovo millennio. È un racconto intimo e universale insieme, in parte autobiografico, che rappresenta il luogo di ibridazione dove le identità -radici e origini da un lato e migrazione dall'altro- non si fissano in essenze immutabili, ma si ridefiniscono continuamente nell’incontro con l’altro.
Poco tempo dopo, con Chotto Desh, letteralmente “piccola patria”, il coreografo di origini bengalesi, insieme alla regista Sue Buckmaster, ha ripensato l’opera in una forma accessibile a bambini e famiglie, senza per questo rinunciare alla complessità estetica e simbolica che da sempre caratterizza il suo lavoro.
Buckmaster, direttrice artistica della compagnia londinese Theatre-Rites e pioniera del teatro visivo e performativo per l’infanzia, ha saputo coniugare la densità drammaturgica del materiale originale con la necessità di renderlo leggibile a spettatori di età differenti. La sua regia non semplifica, ma piuttosto traduce, trasformando l’autobiografia di Khan in un racconto iniziatico che parla di sogni, radici, conflitti familiari e desiderio di appartenenza.
In scena, il giovane danzatore ripercorre i suoi soggiorni in Bangladesh durante l'infanzia e la sua vita attuale in Gran Bretagna; il racconto si muta in una fiaba e poi in una riflessione sulle nozioni di identità e memoria.
Ma a Torino assistiamo alla versione italiana, tradotta, dello spettacolo. Il giovane rappresentato diventa di origine mista bengalese, filippina e italiana, e ci viene presentato come nato e abitante a Roma. Si perde così la riflessione critica postcoloniale dello spettacolo originale.
Il danzatore scelto per la tournée europea e che vediamo sul palco questa sera è Nico Ricchini, di origine filippina.
Jasper Narvaez e Nico Monaco hanno danzato nella versione originale inglese, andata in tournée dal 2015 al 2018.
Dionysios Alamanos si è invece alternato a Nico Ricchini.
La performance intreccia la tradizione del kathak , forma di antica danza indiana che narra i miti religiosi dell'epica Hindu, con la fluidità del linguaggio contemporaneo.
Il corpo porta in sé origini divergenti, e incarna la tensione che esse rappresentano, e troverà una forma nuova di narrazione.
Il dispositivo scenico, curato con finezza artigianale, è parte integrante della drammaturgia. Le animazioni fiabesche, le immagini proiettate e la partitura musicale originale sono di Jocelyn Pook, raffinata compositrice britannica. Nota per le collaborazioni con Peter Greenaway, Stanley Kubrick (Eyes Wide Shut), e con il regista iraniano Majid Majidi, oltre che per le sue creazioni nel teatro e nella danza, crea qui uno spazio immaginativo visivo che scorre insieme al gesto danzato. La musica è molto bella e le voci che cantano (fuori campo) sono della stessa Jocelyn Pook, del soprano Melanie Pappenheim, attiva nel teatro d'avanguardia, della cantante anglo-bangladese Sohini Alam, della cantautrice macedone Tanja Tzarovska e di Jeremy Schonfield. La efficace sequenza della testa dipinta è stata ideata dal coreografo e ballerino Damien Jalet con Akram Khan.
In questo intreccio di media, il corpo del performer non perde centralità, ma diventa catalizzatore di linguaggi diversi, cuore pulsante di un racconto che si muove nei ricordi e spazia nell'invenzione. Il tema è il radicamento culturale.
La storia che ci viene raccontata è ideata dallo stesso Akram Khan con la giovane attrice indiana Karthika Nair e Sue Buckmaster. Anche la favola raccontata dalla affettuosa e paziente nonna, (voce fuori campo), con la presenza di figure animali fantastiche, è tratta da The Honey Hunter degli stessi autori, pubblicata anche su libro.
Pur rivolgendosi a un pubblico giovane, Chotto Desh non ha un approccio didascalico: piuttosto, offre una drammaturgia che invita all’ascolto, alla meraviglia, alla possibilità di abitare più mondi contemporaneamente.
Nella coreografia di Khan convivono immediatezza e stratificazione simbolica: lo spettacolo suggerisce allo spettatore adulto un pensiero critico sulla diaspora e sull’idea stessa di patria.
Chotto Desh non è soltanto un adattamento “per bambini” di un capolavoro, ma una rielaborazione che restituisce la densità del tema attraverso il filtro della leggerezza e della poesia. Ne risulta un’opera delicata, capace di parlare a diverse età e sensibilità, in cui la danza diventa veicolo di un sapere che risiede nell’esperienza del vivere “tra due mondi”.
È proprio in questa condizione di attraversamento che Chotto Desh trova la sua forza: nel farsi, per lo spettatore di ogni età, una piccola patria temporanea in cui riconoscersi e da cui ripartire.






Comments