top of page

Manifesti d'Artista, una nuova affascinante mostra al Museo Nazionale del Cinema, Torino

  • Writer: Planet Claire
    Planet Claire
  • 15 hours ago
  • 10 min read

Updated: 6 hours ago

Il Museo Nazionale del Cinema di Torino presenta dal 20 ottobre 2025 al 22 febbraio 2026 la mostra MANIFESTI D’ARTISTA, 10 affiche di grande formato di Cinema dal muto al sonoro, ai quali si aggiunge la brochure realizzata da Guttuso per il lancio del film Riso Amaro di Giuseppe De Santis.

Allestendo la mostra al piano di accoglienza della Mole Antonelliana, il Museo gioca un po' ad avere un ruolo nuovo di "galleria d'arte". Per visitarla, è stato creato anche un biglietto separato dal biglietto per la visita del museo, a soli € 4 e una bellissima locandina, con un interessante testo critico (in italiano o in inglese) è omaggiata ai visitatori.

La curatela è delle conservatrici Nicoletta Pacini e Tamara Sillo, che hanno tirato fuori le opere in mostra dalle collezioni del museo stesso, veri e propri gioielli nascosti, spesso esposti per la prima volta. Non sono opere di cartellonistica cinematografica, ma opere di importanti pittori che hanno trasformato laffiche pubblicitaria in opera d’arte a sé stante. Grazie a questi artisti, occasionalmente prestati alla promozione cinematografica, i manifesti assumono un’autonomia artistica che prescinde dai film per cui sono stati realizzati.


Per diversi decenni i manifesti erano l’unico modo per attrarre il pubblico al cinema, se si escludono i grandi divi. – sottolinea Enzo Ghigo, presidente del Museo Nazionale del Cinema – Il rivoluzionario fermento culturale dei primi anni del Novecento ha favorito questa commistione tra le arti. Era un nuovo modo di raccontare e raccontarsi, di entrare in contatto e di comunicare, di trovare nella trasversalità dell’esperienza artistica una nuova voce. Il nostro museo ha un considerevole numero di manifesti, quasi 540.000, e molti sono pezzi rari e preziosi. Con questa mostra vogliamo dare, ancora una volta, risalto alla ricchezza delle nostre collezioni e all’unicità dei nostri materiali, oltre ricordare tutti coloro che qui al museo si adoperano per la conservazione del nostro patrimonio.”


La mostra “Manifesti d’artista” celebra il manifesto cinematografico come spazio di contaminazione creativa e come oggetto d’arte capace di raccontare non solo il cinema, ma anche l’evoluzione estetica e sociale del Novecento. Il manifesto, da semplice strumento di promozione commerciale, si trasforma in questa mostra in un veicolo di linguaggio visivo e sperimentazione. Ogni opera testimonia una precisa idea di cinema, ma anche una personale ricerca espressiva che riflette i fermenti artistici del tempo. Manifesti d’artista è un omaggio alla creatività e alla potenza evocativa delle immagini, un viaggio attraverso il tempo e lo sguardo di artisti che hanno saputo trasformare il cinema in pittura, la pubblicità in arte, il manifesto in memoria visiva.

Carlo Chatrian, direttore del Museo, sottolinea nei manifesti "la bellezza del tratto, la potenza della composizione, l’esplosione dei colori, ma anche la loro fragilità, essendo realizzati su una leggerissima carta che evidenzia più ancora della pellicola il passaggio del tempo”.


In mostra ci sono opere di personaggi eclettici come il disegnatore satirico e scrittore Scarpelli o come Toddi, che nella sua stravagante vita ha fatto anche il regista e produttore per un paio di anni, disegnandosi bellissimi manifesti. E ancora Vera D'Angara, attrice-illustratrice russa che in Italia trova amore e spazio per la sua creatività. Il Futurismo degli anni Dieci del Novecento si manifesta nelle esplosive e colorate creazioni di Scarpelli per il film Il sogno di Don Chisciotte così come nell'elegante esecuzione di Prampolini per Thaïs, considerato l'unico film italiano futurista sopravvissuto. Con Toddi e Vera D'Angara, coppia di artisti fra le più originali della storia del cinema e dell'illustrazione, si gode della raffinatezza grafica degli anni Venti votata alla piacevolezza estetica. Lontano da ogni cedimento estetico ma, al contrario, manifestazione di un chiaro messaggio politico è il celebre manifesto de La corazzata Potëmkin ideato dal russo Rodčenko, fondatore del Costruttivismo. Un affisso di grande potenza visiva, rarissimo, considerato fra i più emblematici della fusione fra cinema e arte. Se la stagione del cinema muto è testimoniata da opere così rappresentative, anche l'epoca del sonoro ha avuto i suoi manifesti d'artista. I registi Giuseppe De Santis, Francesco Rosi, i fratelli Taviani hanno scelto di affidare ai pittori Guttuso e Baj la realizzazione di materiali pubblicitari che, uscendo dai canoni tradizionali della promozione cinematografica, divengono interpretazioni personali e autoriali. Arte e cinema camminano parallelamente, a volte si incontrano, si scambiano i ruoli, raccontando quella ricerca di sperimentazione che in realtà è una potente affermazione artistica.

- - - - - - - - -


Di seguito la descrizione dettagliata dei dieci manifesti in mostra, che nulla toglie al piacere di vederli dal vivo nel mirabile contesto del Museo del Cinema in Torino, trasformato temporaneamente in galleria d'arte moderna.


OPERE IN MOSTRA E GLI ARTISTI

VERA D’ANGARA

Vera Michajlovna Natenson

(Elizavetgrad, 7 settembre 1886 – Roma, 14 settembre 1971)

Attrice, pittrice, illustratrice, Vera D’Angara rappresenta un caso unico: un’attrice che ha realizzato il manifesto di un film da lei interpretato. Cresciuta in Siberia, a Irkutsk, dove scorre il fiume Angara, a cui si ispira per il nome d’arte, va a Parigi a studiare pittura all’Académie des Beaux-Arts. Frequenta i circoli artistici russi, si sposa due volte, vive il fermento culturale parigino e si unisce alla compagnia teatrale di Georges e Ludmilla Pitoëff. Allo scoppio della guerra, va in Svizzera dove continua a fare l’attrice e la pittrice. Rimasta vedova, si trasferisce in Italia ed è qui che nel 1919 incontra il conte Pietro Silvio Rivetta di Solonghello (AL), in arte Toddi, diplomatico e intellettuale dai mille interessi. Alla ricerca di un’attrice per la sua nuova passione – il cinema – Toddi vede in Vera la donna ideale. Tra i due nasce un sodalizio d’arte e d’amore indissolubile e la introduce nel mondo della grafica dove diventa illustratrice per periodici (“Noi e il Mondo”, “Il Travaso delle Idee”, “Yamato”) fino alle grandi tavole di “Momotarō. Fiabe giapponesi come sono narrate ai bimbi del Giappone” tradotte da Toddi stesso. Tornando all’avventura nel cinema, diventa attrice, e talvolta soggettista, in una decina di film, quasi tutti della Selecta-Toddi, casa di produzione fondata dalla coppia. Per il film Al Confine della Morte (1922), da lei interpretato, si trasforma in cartellonista rivelando un innato talento: si ritrae aggraziata ed eterea, accarezzata da una pioggia di fiori, immersa in un paesaggio mosso dal vento, riuscita interpretazione Liberty che volge già all’Art Déco. Il bordo superiore arrotondato dell’immagine ne esalta l’armonia e l’assenza del titolo del film (usuale ai tempi del cinema muto) conferisce al manifesto un’ulteriore autonomia artistica.

l'illustrazione di Vera D'Angara per il suo film Al Confine della Morte (1922)
l'illustrazione di Vera D'Angara per il suo film Al Confine della Morte (1922)

ENRICO PRAMPOLINI

(Modena, 20 aprile 1894 – Roma, 17 giugno 1956)

Pittore, scultore, scenografo, scrittore d’arte, organizzatore di eventi culturali, Prampolini è stato un artista in contatto con le avanguardie europee. Nel 1917 partecipa al film Thaïs come scenografo e, grazie soprattutto alle sue ambientazioni, questa pellicola è considerata l’unico esempio giunto a noi di cinema italiano fortemente influenzato dal Futurismo. Il film è un melodramma d’amore e di amicizia con finale tragico che vede protagonista l’attrice Thaïs Galitzky nei panni di una bella e crudele contessa russa, Vera Preobrajenska, nota in campo letterario con lo pseudonimo di Thaïs. Prampolini, che aveva aderito al movimento futurista nel 1912 frequentando lo studio di Balla, inventa ambienti dalle forti potenzialità evocative e oniriche: motivi geometrici, spirali, losanghe, rimandi metaforici creano un mondo quasi irreale in cui la femme fatale si integra perfettamente. Per questo film Prampolini si occupò anche di creare il manifesto promozionale. Pur ispirandosi a una scena del film, la reinterpreta in modo personale proponendo Thaïs in una posa stilizzata e antinaturalistica, quasi “incorporata” nella poltrona su cui è elegantemente seduta e ne esalta la figura con un abile uso timbrico dei colori. Gli occhi truccati di nero in maniera accentuata sono un chiaro rimando a una delle sue scenografie, una stanza della casa di Thaïs le cui pareti sono decorate proprio con grandi e inquietanti occhi bistrati. Sicuramente un affisso di grande efficacia visiva.


TODDI

Pietro Silvio Rivetta di Solonghello

(Roma, 8 luglio 1886 – Roma, 1 luglio 1952)

Il conte Pietro Silvio Rivetta di Solonghello, noto con lo pseudonimo di Toddi, è uno degli intellettuali più eclettici del Novecento. Giornalista e direttore di testate come La Tribuna illustrata e Il Travaso delle idee, esperto conoscitore della lingua italiana con cui amava giocare -scrisse uno dei primi libri di enigmistica-, poliglotta appassionato alla cultura orientale -lavorò all’ambasciata italiana a Tokyo e più tardi fu professore di cinese e giapponese al Regio Istituto Universitario Orientale di Napoli-, brillante illustratore e scrittore, artista vicino ai futuristi, conduttore radiofonico e cartellonista, regista e produttore cinematografico. Nel 1920 diresse il suo primo film Il castello dalle cinquantasette lampade per poi fondare la casa cinematografica Selecta-Toddi insieme a Vera D’Angara, sua compagna di vita, disegnatrice e attrice russa. La loro avventura cinematografica durò solo un paio d’anni con la produzione di una dozzina di film tutti diretti da Toddi, con Vera D’Angara quasi sempre prima attrice e in qualche caso soggettista. I manifesti sicuramente furono disegnati tutti da loro, tra quelli non andati perduti, Le due strade e Fu così che…, una commedia di metacinema -racconta la lavorazione di un film- portano la firma di Toddi e si distinguono per il tratto stilizzato dell'Art Déco con rimandi al Liberty. Il manifesto di questo film raffigura il sinuoso disegno di una pellicola come elemento evocativo e disvelatore del cinema stesso.


manifesto realizzato da Toddi nel 1922 per il film Fu così che...
manifesto realizzato da Toddi nel 1922 per il film Fu così che...

FILIBERTO SCARPELLI

(Napoli, 29 giugno 1870 – Roma, 20 agosto 1933)

Giornalista, scrittore, caricaturista, fu tra gli artisti che nel 1900 rilevò la testata “Il Travaso delle idee”, contribuendo a farne uno dei giornali più famosi della storia della satira. Con il suo stile ironico collaborò anche a tante altre testate giornalistiche. Il suo legame con il Futurismo è riconoscibile negli spettacolari manifesti che creò per pubblicizzare il film Il sogno di Don Chisciotte, una satira politica sulla Prima Guerra Mondiale. In essi Scarpelli esibisce l’innato talento caricaturale unito a un forte dinamismo e a scomposizioni visive di stampo futurista. Inconfondibile la sua firma: il disegno di un paio di scarponi con a fianco la desinenza “-lli” a formare la parola Scarpe-lli, divertente suggello della sua vena umoristica. Padre di Furio Scarpelli, che in coppia con Age (Agenore Incrocci) fu tra i più importanti sceneggiatori del cinema italiano del secondo dopo guerra fino agli Anni Settanta.


ALEKSANDR MICHAJLOVIČ RODČENKO

(San Pietroburgo, 23 novembre 1891 – Mosca, 3 dicembre 1956)

Pittore, grafico, fotografo, fra i principali artisti dell’avanguardia russa e fra i fondatori del Costruttivismo, Rodčenko presta la sua arte anche alla cartellonistica cinematografica collaborando con i grandi registi Dziga Vertov e Sergej M. Ėjzenštejn. Crea per loro alcuni memorabili manifesti rappresentativi dell’Unione Sovietica degli anni Venti, della Rivoluzione d’Ottobre, del ruolo del cinema (e della grafica) come forza rivoluzionaria, educativa e sociale, in nome di un’arte che era parte attiva del processo di cambiamento.

La corazzata Potëmkin (1925) del magistrale Ėjzenštejn, celebra la rivoluzione rievocando la rivolta dei marinai dell’incrociatore Potëmkin contro le truppe zariste nel 1905. Il manifesto di Rodčenko per questo film incarna questo spirito con un’immagine in cui scritte, numeri e illustrazione si integrano in una composizione geometrica essenziale, priva di cromatismi, perfettamente aderente ai canoni del Costruttivismo. La corazzata si staglia frontale verso lo spettatore, gloriosa e minacciosa, con i cannoni che paiono uscire dall’immagine, la scritta 1905 suggella la data dell’evento rivoluzionario, un forte messaggio celebrativo reso ancora più enfatico dalla frase di lancio che risalta sul bordo superiore del manifesto “L’orgoglio della cinematografia sovietica”. Nel 2025 ricorre il centenario de La corazzata Potëmkin, il film più omaggiato della storia del cinema: Alfred Hitchcock (Il prigioniero di Amsterdam), Francis Ford Coppola (Il padrino), Woody Allen (Il dittatore dello stato libero di Bananas e Amore e guerra), Terry Gilliam (Brazil) e soprattutto Brian De Palma (The Untouchables) sono tra i registi che nei loro film hanno scelto di citarne scene epiche. La più celebre è la scena del massacro sulla scalinata di Odessa, che si chiude con la carrozzina che precipita tragicamente lungo le scale. Per il pubblico italiano La corazzata Potëmkin è indissolubilmente legata a Il secondo tragico Fantozzi di Luciano Salce (1976), tratto dall'omonimo libro di Paolo Villaggio (1974), con la memorabile battuta pronunciata dal ragionier Ugo Fantozzi “Per me la Corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca!” A distanza di 100 anni il film rimane una pietra miliare del cinema: esemplifica l’innovazione del linguaggio cinematografico di Ėjzenštejn, in particolare il suo uso potente del montaggio come arma di coinvolgimento del pubblico. Il regista non mostra con chiarezza che cosa sta avvenendo, ma accosta inquadrature incalzanti e parziali che creano smarrimento e inducono nello spettatore un’associazione di idee per capire il senso di quanto mostrato; utilizza inquadrature impressionanti che colpiscono come un pugno lo spettatore o immagini che, montate sequenzialmente, assumono significati metaforici e simbolici.


RENATO GUTTUSO

(Bagheria, 26 dicembre 1911 – Roma, 18 gennaio 1987) Pittore e uomo di cultura impegnato politicamente, è stato uno dei maestri dell’arte del Novecento, celebre per i paesaggi siciliani, che esprimono l’attaccamento alla sua terra, e per l’impegno politico evidente nei dipinti di denuncia sociale. Incontra il mondo del cinema negli anni Trenta: frequenta Luchino Visconti e Giuseppe De Santis, con i quali condivide un forte antifascismo. Quando nel 1948 De Santis gira Riso amaro, per la pubblicità del film cerca il pittore Guttuso, già celebre. Guttuso illustra anche Kaos, il film dei Fratelli Taviani, liberamente tratto da Novelle per un anno di Luigi Pirandello. L’ambientazione è la Sicilia rurale, arida, assolata. Nessuno poteva rappresentare questo mondo meglio di Guttuso. Sul manifesto il pittore ripropone uno dei suoi paesaggi tipici, rigogliosi fichi d’India che si stagliano su uno scorcio marino soleggiato e pacificante, ma ci aggiunge un inquietante corvo a cui, con licenza poetica, colora becco e zampe di giallo. L’uccello è il protagonista della novella “Il corvo di Mìzzaro” che i Taviani inseriscono come trait d’union fra le novelle raccontate nei vari episodi del film: volteggiando in cielo, con un campanellino tintinnante attaccato a una zampa, osservatore degli eventi narrati. Guttuso si rifà alla prima sequenza del film nella quale il corvo viene ripreso a testa in giù e lo dipinge come un rapace che si abbatte in picchiata sulla quiete della campagna, quasi a simboleggiare un presagio di cattiva sorte.


ENRICO BAJ

(Milano, 31 ottobre 1924 – Vergiate, 16 giugno 2003)

Pittore e scultore multiforme, considerato uno dei maestri della neoavanguardia italiana e internazionale, Enrico Baj fu chiamato direttamente dal regista Francesco Rosi per pubblicizzare il suo film Cadaveri Eccellenti (1976). Il pittore è il giusto interprete di quel mondo equivoco e corrotto che Rosi denuncia nella sua storia, ispirata a un romanzo di Leonardo Sciascia, che vede il commissario Lino Ventura indagare su una serie di assassinii di importanti magistrati. Servizi segreti, golpe, mafia, politica e manifestazioni di piazza: è la visione critica di Rosi dell’Italia degli anni Settanta. Baj condivide questa visione e crea una carrellata di mostruose creature -esponenti del potere- che sembrano uscite da tante altre opere della sua prolifica attività artistica, in primis I Generali, tema figurativo ampiamente esplorato dal pittore: quasi una danza macabra.



MANIFESTI D’ARTISTA

FILM POSTERS BY ARTISTS

Museo Nazionale del Cinema

Mole Antonelliana, Torino

20.10.2025 > 22.02.2026

a cura di / Curators

Nicoletta Pacini, Tamara Sillo

 
 
 

Comments


Subscribe Form

Thanks for submitting!

  • Instagram
  • Facebook
  • Twitter

©2023 by PlanetClaire. 

bottom of page