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In mostra alle Gallerie d'Italia di Torino le fotografie di Jeff Wall. Fotografia come messa in scena della realtà.

  • Writer: Planet Claire
    Planet Claire
  • 4 hours ago
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dal 9 ottobre 2025 al 1° febbraio 2026 mostra monografica sulla fotografia di Jeff Wall Gallerie d'Italia, Palazzo Tuninetti di Pertengo, Piazza San Carlo 81, Torino David Campany, curatore

Le Gallerie d'Italia sono una rete museale con sedi a Torino, Milano, Napoli e Vicenza, ospitate in palazzi storici di pregio nel cuore delle città. Custodiscono collezioni permanenti e propongono mostre sempre interessanti. La retrospettiva Jeff Wall. Photographs alle Gallerie d’Italia di Torino, con la curatela del critico londinese David Campany, propone una selezione di 27 opere esposte che attraversano oltre quarant'anni di pratica.

Jeff Wall, nato a Vancouver nel 1946, protagonista alla Tate Modern di Londra, al MoMA di New York, al Deutsche Guggenheim di Berlino, ha incontrato il pubblico con il curatore Campany nell'ambito del public program della mostra: alla inaugurazione, all'incontro di approfondimento del giorno seguente, al firma-copie del bel catalogo dell'editore Allemandi. La mostra torinese conferma che Jeff Wall è un punto di riferimento che mette in luce il confine tra narrazione e visione, tra verità e artificio. La sua pratica è altresì una strategia per far emergere temi politici e sociali contemporanei: il razzismo e la white supremacy, le differenze di classe, l'identità, la guerra, la povertà.


Il percorso espositivo mostrando come la fotografia di Wall sia sempre il risultato di un lavoro di composizione meticoloso e prolungato. Wall definisce il suo metodo fotografico come “cinematografia”. Simile al processo di realizzazione di un film, il suo lavoro dipende dalla collaborazione con un cast e con assistenti che lo aiutano a sviluppare i suoi scenari attentamente costruiti. Utilizza una fotocamera di grande formato con un teleobiettivo per ottenere l’alta risoluzione e i dettagli fini che caratterizzano le sue stampe. Lo strumento tecnico della lightbox, che mutua dal linguaggio pubblicitario, (il fotografo canadese iniziò a utilizzare le lightbox dopo averle viste utilizzate nelle pubblicità alla fine degli anni Settanta), crea una luce nitida e enfatizza l'effetto di messa in scena. Le foto dell'artista, spesso costruite in studio come un set cinematografico, trasformano la sua fotografia in oggetto da contemplare come un’opera d’arte autonoma. Anche le stampe in bianco e nero e a colori raccontano il doppio registro del lavoro di Wall: da una parte la “quasi documentarietà” delle scene di vita quotidiana, dall’altra la costruzione minuziosa di tableau che attingono alla pittura, al cinema e alla letteratura.

Wall presenta le sue immagini a grandezza naturale, esercitando un fascino magnetico sugli spettatori. Il fotografo costruisce fotografie citando capolavori dell'arte (Hokusai, Manet, Delacroix). In mostra è esposto The Thinker (Il Pensatore), reinterpretazione da Auguste Rodin. Cita inoltre la letteratura e il cinema.

A prima vista, i suoi lavori risultano enigmatici, occorre addentrarsi nella sua narrazione e eventualmente documentarsi per godere pienamente della bellezza delle sue fotografie.


After “Invisible Man”, ispirata al romanzo di Ralph Ellison (1999-2000)

Tra le opere in mostra, la fotografia che mi ha colpito di più è After “Invisible Man” by Ralph Ellison, the Prologue, che testimonia la capacità di Wall di tradurre materiale letterario in un'esperienza visiva potente. Jeff Wall dice qualcosa di appassionate, che permette di capire il suo lavoro e la sua arte: "Mentre leggo un libro, un romanzo, incontro un passaggio che mi colpisce, perché ha il potenziale per essere trasformato in una fotografia. Penso a questi momenti come eventi fortuiti che si verificano durante la lettura, un po' come quelli che avvengono quando vedo casualmente qualcosa nella realtà. Non faccio distinzione tra diversi tipi di eventi fortuiti. In ogni caso, si inizia da qualcosa che non ha una presenza immediata, che non ho visto accadere, ho solo letto. After Invisible Man rappresenta un momento iniziale del romanzo di Ralph Ellison, L'Uomo Invisibile, che fu scritto e pubblicato nel 1954 circa, probabilmente scritto durante la Seconda Guerra Mondiale e pubblicato qualche tempo dopo. Racconta la storia di un giovane americano nero che viaggia dal Sud al Nord, lo facevano in molti all'epoca per cercare una vita migliore senza dover sopportare le condizioni imposte ai neri nel Sud degli Stati Uniti. Vive molte avventure e disavventure, meravigliosamente scritte da qualcuno che conosce in profondità quello che racconta. Alla fine del romanzo, dopo tutte le difficoltà, si ritrova casualmente in uno scantinato. Ci finisce dentro durante una sommossa, a quel punto della sua vita vuole scappare da tutto e rimane in quella cantina per molto tempo. In qualche modo, si nasconde lì perché ci trova un cantuccio, uno spazio vuoto. E poi inizia a sistemarsi e a creare un luogo per sé, un posto segreto, rubando l'elettricità dai quadri del seminterrato. E mette una luce, poi una seconda, e non riesce a smettere di aggiungere luci, la maggior parte delle quali ricava da oggetti buttati via. Fino a quando arriva ad avere oltre 1.300 luci nella sua stanza. Completamente irrazionale, come ammette. Però dice che non è mai abbastanza luminoso intorno a lui, perché è cosciente dell'invisibiltà nella quale ha vissuto per non essere stato riconosciuto. Ha tutto a che fare con la sua vita. L'intero romanzo è incentrato sulla mancanza di riconoscimento e sui modi che lui ha di reagire. Questo viene raccontato all'inizio del romanzo, nel prologo, dove si scopre quello che si sta per leggere e dove viene descritta la stanza in cui sta scrivendo il libro. Quando lessi questo passaggio, mi sembrò ovvio, come potete immaginare, che questa potesse essere un'immagine: parla di luce, e ha in sè una sorta di ambiente fantastico che non si vedrebbe mai, o quanto meno sarebbe molto raro. Quindi decisi di realizzarla, di dare visibilità a un istante di questo racconto. Fu necessario molto lavoro per creare lo spazio che doveva essere immaginato, a volte devo lavorare molto per realizzare le mie fotografie, come in questo caso, mentre altre volte basta fare pochissimo, e non ritengo che molto lavoro implichi che la fotografia sarà migliore, vuol solo dire scattare un certo tipo di foto e questa richiedeva tutto quel lavoro. Ogni cosa nell'immagine è il frutto di un'accurata ricerca all'interno del testo, nessun oggetto che vedete lì è per caso, sono tutti descritti da Ellison in un qualche punto della storia. Se avete letto il libro, riuscirete a identificarne alcuni. Una cosa che ho capito riguardo alle fotografie che ho realizzato sulla base di romanzi è che la maggior parte delle persone probabilmente non leggerà quel libro, sarebbe carino che lo facessero, ma non credo succederà. Ho dovuto accettare questo fatto senza combattere e comprendere che quello che devo fare è realizzare un'immagine che possa auspicabilmente essere tanto godibile quanto lo è leggere il libro e quindi distaccarla dalla sua fonte letteraria, proprio come ho dovuto separare tutte le foto che ho scattato dalla loro azione relativa d'origine e trasformarle in un'immagine statica, che è sempre sospesa o allontanata dalla realtà. Quindi la mia fotografia è in qualche modo autonoma, anche se mi piacerebbe molto che leggeste il romanzo!"

Questa "illustrazione" fotografica di grande formato è stampata su una diapositiva e montata in una lightbox con cornice d’acciaio, pertanto illuminata da dietro da luci fluorescenti. Wall prende il frammento letterario come punto di partenza per una rielaborazione visiva che traduce parole in spazio, luce e oggetti. È interessante notare che il creare immagini a partire da storie ("illustrare") era un tempo l’attività principale delle arti visive. La crescente tradizione modernista relegò questa pratica ai margini; per gran parte del Novecento, il termine “illustrazione” è stato usato in senso diminutivo. In questa fotografia di grandi dimensioni, ricca di dettagli e profondamente coinvolgente, Wall ha praticamente reinventato da solo questa pratica della "illustrazione".

La scena ricostruita è un seminterrato dove abita un giovane uomo African-American intento a scrivere; lo spazio (un basement a Harlem, ai confini di Manhattan) è pieno di mobili, abiti e una sorprendente copertura del soffitto fatta di centinaia e centinaia di lampadine. La fotografia è insieme fedeltà al testo e riscrittura autonoma dell’immagine narrativa. Wall ha lavorato a quest’opera per circa un anno intero, progettandola come una ricostruzione cinematografica del prologo del romanzo Invisible Man (1952) di Ralph Ellison. È una trasparenza a colori in una lightbox di grandi dimensioni (circa 174 × 250 cm), realizzata con la consueta tecnica di stampa su pellicola transparency color film e retroilluminata. Quest’opera segna una svolta nel suo lavoro di fine anni Novanta, quando Wall cominciò a intrecciare letteratura e fotografia, passando dalla pura osservazione urbana tipica degli anni Ottanta alla ricostruzione narrativa e simbolica.

Due elementi sono centrali in questa fotografia. Innanzitutto, il trattamento della luce: le 1.369 lampadine menzionate nel prologo di Ellison diventano in Wall un dispositivo formale e simbolico; la proliferazione di sorgenti luminose trasforma lo spazio in un interno da set, conferendo all’immagine un nitore quasi iperrealista e allo stesso tempo un’atmosfera claustrofobica e ossessiva. La luce, che nel romanzo è correlata all’identità, alla visibilità e al potere, qui è materializzata, esibita, quasi misurata: Wall mostra il “meccanismo” del vedere, rendendo la visibilità stessa un tema dell’opera.

Altro elemento affascinante è il rapporto tra letteratura e fotografia. Wall traduce il prologo del romanzo di Ellison con la cura di un regista e l'attenzione di un artigiano: la scena è costruita nello studio, ogni oggetto è disposto per parlare del protagonista. Il risultato è una sorta di «rappresentazione indiretta» dell’io narrante: l’assenza di un volto riconoscibile lascia che siano l’ammasso di effetti domestici e l’abbondanza di luce artificiale a raccontare la condizione di marginalità, autonomia e ribellione che il romanzo propone. Questa immagine funziona bene perché mantiene la tensione tra fedeltà testuale e autonomia visiva: né mera copia del romanzo, né pura invenzione, ma piuttosto un “dopo” che amplifica il significato originario.

After "The Invisible Man" by Ralph Ellison - The Prologue, photography by Jeff Wall (1999-2000)
After "The Invisible Man" by Ralph Ellison - The Prologue, photography by Jeff Wall (1999-2000)


Il trittico I giardini / The Gardens dai giardini di Villa Silvio Pellico, composto da tre parti:

Appunto / Complaint,

Disappunto / Denial e

Diffida / Expulsion order 

è stato realizzato nei giardini della Villa Silvio Pellico a Moncalieri, una sontuosa dimora privata, dove Jeff Wall si recò con la moglie nel 2017, attratto dalla fama del parco della villa, progettato dal celebre giardiniere paesaggista inglese Russell Page, uno dei più importanti architetti di giardini del Novecento, noto per il suo approccio raffinato e “pittorico” al paesaggio, che combinava rigore geometrico e sensibilità naturalistica. Il paesaggista intervenne nella villa negli anni 50, progettando un giardino all’italiana reinterpretato con sensibilità moderna; siepi, viali, terrazze e scorci prospettici si aprono verso il paesaggio collinare. Questo aspetto è particolarmente interessante in relazione a Jeff Wall: il trittico The Gardens dialoga non solo con le figure umane e le relazioni che rappresenta, ma anche con la struttura scenografica e ordinata del giardino di Page, che diventa un teatro naturale per le sue immagini.

L’ordine delle immagini (da sinistra verso destra) racconta una progressione narrativa. Qui la mano del fotografo si concentra su una sottile drammaturgia dei corpi e delle relazioni: figure che ritornano, leggere variazioni di postura e di distanza che costruiscono un racconto di tensioni private.

Dal punto di vista visivo, il raffinato trittico mette a confronto spazio naturale e presenza umana con lo sguardo calmo ma tagliente di Wall: la vegetazione, i viali, i giochi di luce naturale fungono da scenografia per micro-drammi relazionali. La ripetizione delle figure, che sono dei doppi, quasi una eco dei personaggi, aggiunge uno strato di ambiguità percettiva: non sappiamo se stiamo osservando prospettive alternative su una stessa scena, in un gioco di duplicazione e differenza tipico della poetica del fotografo, che mescola realismo documentario e volontà di mettere in scena sceneggiature emotive complesse.


Visitare questa retrospettiva e leggere le didascalie/ascoltare l'audioguida che accompagna l’allestimento aiuta a capire l'autore e l'arte della fotografia come forma complessa di pensiero e di rappresentazione.


orari: mar gio ven sab dom 9:30 - 19:30 mer 9:30 - 20:30 ingresso gratuito prima domenica del mese

 
 
 

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