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Writer's picturePlanet Claire

HOUSE OF GUCCI (USA, 2021) di Ridley Scott

Updated: Jan 9

Il film è deludente. Privo di una identità definita, non è un court-drama, non è un crime o un thriller, non è una soap-opera sulla dinastia, non è una satira dei costumi, né una condanna morale, non è un film che mostra il mondo dell'alta moda.

Nonostante la tragica storia vera da rappresentare fosse promettente dal punto di vista narrativo e avesse evidentemente un ampio potenziale drammatico, il film è soltanto superficiale e mal fatto.


Al di là della prevedibile modifica di tanti particolari della vicenda di cronaca, anche inutile sotto il profilo narrativo, mi stupisce che Ridley Scott abbia acquisito, già vent'anni fa, i diritti sul romanzo The House of Gucci: A Sensational Story of Murder, Madness, Glamour, and Greed di Sara Gay Forden, giornalista americana a lungo in Italia come corrispondente nel settore dell'alta moda per poi trarne questo film.

Perché Ridley Scott sia stato affascinato dalla storia della dinastia Gucci non è infatti dato vedere in questa opera, che resta inconsistente, manca di tensione e di gravitas.

Ad ogni modo, il talento del grande regista e la sua capacità visionaria non emergono minimamente in questo lavoro.


Uno dei tanti stereotipi di questo film, e da fastidio, e rasenta il ridicolo, (chiaramente vedendo il film in v.o.), è che a tutti gli attori anglofoni è stato richiesto di recitare con un fortissimo accento italiano, (tutti gli attori lo fanno appena decentemente e Jared Leto è persino caricaturale), e pure di intercalare l'inglese con varie parole, esclamazioni e mezze frasi in italiano. Scelta linguistica completamente senza senso. Non è un gruppo di Italian-American, è un gruppo di italiani; non siamo a Broccolino (Brooklyn) negli anni Trenta, ma a Milano e in Toscana tra il 1978 e il 1995.


Il biopic gode di un forte richiamo per la terribile clamorosa storia vera di cronaca nera: il Presidente della Maison, nonché suo azionista di maggioranza, Maurizio Gucci, nipote del fondatore della casa di moda, fu assassinato a soli 46 anni nel 1995 dalla moglie, un'arrivista avida di denaro e potere, da cui l'imprenditore aveva appena divorziato.


La famiglia Gucci si è lamentata con una dichiarazione ANSA di non essere stata consultata da Ridley Scott e dalla produzione Warner prima che decidessero di rappresentare i vari personaggi e ha affermato che il film ne offre una versione non accurata e lontana dalla realtà.


L'intreccio di ambizione, potere e intrighi familiari ci viene raffigurato da un notevole cast di attori, ma manca autenticità nei loro personaggi, la cui costruzione è poco articolata, e la credibilità complessiva del film resta compromessa.


Al Pacino è Aldo Gucci, il figlio di Guccio Gucci, fondatore della Maison, e rappresenta il ramo newyorkese: a proposito di cliché, il personaggio senza alcun motivo è tratteggiato un po' alla Don Vito Corleone. Jeremy Irons è suo fratello Rodolfo Gucci, padre della vittima, uomo dal carattere auterevole e però una natura vulnerabile: rappresenta il ramo conservatore e legato al passato. Ha una eleganza e una misura impeccabile, ma, con le occhiaie grigio-violacee e modi crepuscolari, ha inspiegabilmente l'aspetto del Conte di Transilvania. Adam Driver è Maurizio Gucci, (1948-1995), la vittima: questa volta l'inflazionato attore ci restituisce il rampollo un po' impacciato, rigido, privo di fascino, se non quello del suo denaro e del nome della casa di moda. Jared Leto è il cugino mediocre e labile Paolo Gucci. Leto è qui interamente ricoperto di silicone per apparire sovrappeso, con un risultato mostruoso. Camille Cottin, già vista nel ruolo di Andréa Martel nella bella serie Dix pour Cent (Call My Agent) sull'agenzia di attori parigina, è Paola Franchi, la futura -e mancata- seconda moglie upper-class di Maurizio Gucci, che l'imprenditore stava per sposare in seconde nozze, se non fosse stato ammazzato. Salma Hayek è la complice della moglie assassina, la presunta chiromante Pina Auriemma, nella realtà una donna spaventosamente ignorante e volgare. E, su tutti, Lady Gaga, spettacolare, sostiene tutto il film, nella parte della spregevole Patrizia Reggiani Gucci, le cui caratteristiche totalmente negative di nefasta ambiguità non sono ben evidenziate nel film.

Lady Gaga assimiglia parecchio, anche nello stile recitativo, a un'altra attrice di discendenza italiana, Marisa Tomei, pure lei con un volto molto italiano, brava e assai apprezzata nell'industria cinematografica nordamericana.


La cornice visiva è ricca di dettagli che portano lo spettatore nell'alta società degli Anni Ottanta e Novanta, ma senza particolare attrattiva.


Bruttissima per ovvietà la colonna sonora, della quale salviamo soltanto, all'inizio del film, un'unica canzone: La Ragazza col Maglione di Pino Donaggio. Tra un'aria di Puccini o di Verdi -risulta che nelle dimore italiane non s'ascolti altro- e una Quinta di Beethoven, in mezzo a canzoni pop troppo note, tutte le musiche sono scelte con grande banalità e mai aggiungono emozione.


Divertente la scena della sfilata di Tom Ford, verso la fine del film. Ha un buon ritmo e purtroppo è l'unica scena a tema fashion del film.

Del marchio Gucci, nell'epoca in cui aveva una prestigiosa estetica tradizionale, icona di stile e di glamour nel mondo della moda di lusso, nulla viene raccontato nel film.


Poiché il lungometraggio manca di profondità emotiva, coesione visiva e narrativa, e poiché è gravato dai difetti di esecuzione cui ho accennato, si può vedere soltanto per curiosità e per la forte personalità di Lady Gaga, che tenta di proporre una celebrazione del lato oscuro del potere e dell'avidità umana.



Adam Driver interpreta Maurizio Gucci e Lady Gaga interpreta la sua moglie Patrizia Reggiani, che poi lo assassinò ingaggiando un sicario.


Nella foto qui sotto, Lady Gaga alla world première del film all'Odeon di Leicester Square, London, il 9 novembre 2021: indossa un fastoso abito Gucci.




La dichiarazione integrale rilasciata all'agenzia italiana ANSA dalla famiglia Gucci a proposito di House of Gucci:

"La famiglia Gucci prende atto dell'uscita del film House of Gucci ed è sconcertata perché, nonostante l'opera affermi di voler raccontare la vera storia della famiglia, i timori sollevati dai trailer e dalle interviste rilasciate finora sono confermati: la narrazione è tutt'altro che accurata. La produzione non si è preoccupata di consultare gli eredi prima di descrivere Aldo Gucci - presidente dell'azienda per 30 anni - e i membri della famiglia sono descritti come teppisti, ignoranti e insensibili al mondo che li circonda. Questo è estremamente doloroso dal punto di vista umano e un insulto all'eredità su cui il marchio è costruito oggi. Ancora più discutibile è la ricostruzione che diventa mistificante quasi fino al paradosso quando arriva a suggerire un tono indulgente verso una donna che, condannata in via definitiva per essere stata la mandante dell'omicidio di Maurizio Gucci, viene dipinta non solo nel film, ma anche nelle dichiarazioni dei membri del cast, come una vittima che stava cercando di sopravvivere in una cultura aziendale maschilista. Questo non potrebbe essere più lontano dalla verità. Inoltre, nel corso dei suoi settanta anni di storia durante i quali è stata un'azienda familiare, Gucci è stata un'azienda inclusiva. Infatti, proprio negli anni Ottanta -il contesto storico in cui è ambientato il film- le donne ricoprivano diverse posizioni di vertice: che fossero membri della famiglia o estranee ad essa, queste includevano il presidente di Gucci America, il capo del Global PR & Communication, e un membro del consiglio di amministrazione di Gucci America. Gucci è una famiglia che vive onorando il lavoro dei suoi antenati, la cui memoria non merita di essere disturbata per mettere in scena un film che non è vero e che non rende giustizia ai suoi protagonisti. I membri della famiglia Gucci si riservano ogni diritto di proteggere il nome, l'immagine e la dignità dei loro cari".


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