Frankenstein di Guillermo del Toro (2025)
- Planet Claire
- 4 days ago
- 5 min read
Updated: 3 hours ago
Clara Bruno, 10 novembre 2025, cinque minuti di lettura
visto in v.o. al Cinema Nuovo Olimpia, via in Lucina 16, Roma rione Colonna il 6 novembre 2025
Guillermo del Toro ha realizzato il film che ha sempre desiderato girare: Frankenstein. E si è avvalso della produzione di Netflix. A lungo il regista è stato affascinato dalla storia gotica creata da Mary Wollstonecraft Shelley, (moglie del grande poeta romantico Percy Bysshe Shelley e figlia della importante filosofa femminista Mary Wollstonecraft). L'autrice londinese scrisse Frankenstein, or The Modern Prometheus (1818), il suo primo romanzo, all’età di vent’anni. Del Toro fu avvinto da questo racconto horror fin dalla precoce visione, durante l'infanzia in Messico, del film del 1931 di James Whale con Boris Karloff. La storia è un grido di dolore contro l’orrore ineluttabile della morte e l'aspirazione -arrogante- di poterla vincere. Guillermo del Toro ne da la sua versione contemporanea, enfatizzando il tema della perdita, del lutto, che percorre l’opera in maniera commovente. Mary Shelley creò una riflessione illuminista e romantica sulla hybris dell’Uomo. Guillermo del Toro, fedele ai suoi topoi ricorrenti, racconta il tema del mostro come metafora dell’emarginazione del diverso; punta a umanizzare la Creatura e a trasformare il mito in una parabola visiva sull’amore, la colpa e la solitudine. Mette più enfasi sulla bellezza mostruosa, sull’empatia per l'Altro e aggiunge anche una importante riflessione sul leitmotiv della relazione padre–figlio e creatore-creatura. Tutti i temi autoriali presenti in Frankenstein sono infatti ricorrenti nella filmografia del regista messicano: si pensi al magistrale The Shape of Water (2017), La Forma dell’Acqua, in cui una misteriosa creatura anfibia è tenuta prigioniera in un laboratorio, studiata dagli scienziati e torturata da uno sprezzante agente governativo, che la considera un mostro. Una giovane inserviente muta si avvicina con curiosità e gentilezza alla creatura. Tra i due nasce un legame profondo e silenzioso, fatto di gesti e musica, che si trasformerà in amore puro. Nella scena finale, la creatura porta la giovane donna con sé sott’acqua, dove la guarisce e le dona la capacità di respirare nel suo mondo, trasformando il loro sentimento in qualcosa di eterno. Ho raccontato la trama del premiatissimo film di del Toro per sottolineare le molte affinità tra The Shape of Water e la visione personale del regista della vicenda di Frankenstein. Del Toro intreccia, nel suo stile poetico, agli elementi fantastici del racconto, il rifiuto della società contro il diverso e, come contraltare, l’identificazione della fanciulla con l’essere sovrannaturale. La giovane donna, unica figura capace di un amore puro proprio perché anch’essa “altra”, si schiera contro la brutalità di un uomo che esercita il proprio potere in maniera sadica sulla creatura.
Frankenstein di del Toro inizia, come il romanzo, nell’Artico nel 1857, dove un equipaggio, durante una spedizione verso il Polo Nord, tra nebbie e iceberg, avvista la misteriosa figura del “gigante” e poi soccorre Victor Frankenstein, allo stremo delle forze. Il Mostro (Jacob Elordi, già efficace interprete in Saltburn di Emerald Fennell, 2023) da la caccia al suo creatore, Victor Frankenstein (Oscar Isaac, già magnifico protagonista di Inside Llewyn Davis dei Fratelli Coen, 2013). La storia è narrata prima dal medico e dopo dalla Creatura, in due distinti capitoli. Nel primo capitolo, un lungo flashback scopre l’infanzia di Victor, segnata da un padre autoritario e feroce (Charles Dance) e dalla prematura morte della affettuosa madre (Mia Goth). Affranto, Victor decide di sfidare la morte, ma diventerà un creatore ancor più crudele del proprio padre. Del Toro aggiunge motivi religiosi che stanno nella sua cultura, come la visione onirica di una statua di angelo sanguinante, che compare almeno un paio di volte, purtroppo animata da effetti visivi digitali molto kitsch e realizzati grossolanamente. Mia Goth, (scoperta sedicenne da Lars von Trier per Nymphomaniac, 2013), oltre a interpretare la madre, torna nel ruolo di Elizabeth, la promessa sposa del fratello minore di Victor. Goth incarna, per la prima volta nella sua carriera, una donna dalla sublime sensibilità poetica e dalla commossa gentilezza. Quando Victor se ne innamora, il film evidenzia la ripetizione della tragica vicenda familiare. Il secondo capitolo esprime l'attenzione dell'autore alla prospettiva della Creatura, essere senziente e tragico: racconta la storia dal punto di vista del mostro, che soffre solitudine e esclusione, diventate inevitabilmente rabbia, mentre impara la violenza del mondo. Del Toro tratteggia il personaggio con profonda empatia, facendo di Elordi un mostro dolente e maestoso, una vittima. Una figura-chiave, Harlander, Christoph Waltz, (già magistrale villain in Django Unchained di Quentin Tarantino, 2012) funge da trait d'union tra i personaggi e finanziatore dell'esperimento fantascientifico di resurrezione del corpo assemblato con parti di cadaveri. Scopriremo la sua storia orrenda, che ovviamente nel romanzo originale non c’è. E il dr. Frankenstein, follemente malvagio, vivrà la sua ossessione. In definitiva, il Dr. Victor Frankenstein di Guillermo del Toro è un tiranno: le sue intenzioni, il suo temperamento, la sua ricerca, e soprattutto la sua assoluta mancanza di dubbi, nonché il fatto di ritenersi una vittima, sono chiaramente quelle di un perfido autocrate. Le parole del regista chiariscono come vede il suo Dr. Frankenstein: "...(...)... Victor's quest, Victor's intentions, his temperament, and the absolute lack of uncertainty, which every tyrant, every villain really has. And he think himself to be a victim."
Splendido e ambizioso, Frankenstein è un film dalla notevole ricchezza ideativa, visivamente sontuoso ma un po’ “appiattito” da un'estetica digitale, pensata per lo streaming su piccolo schermo e non per la sala. Il limite del film, altrimenti assai pregevole, sono proprio i VFX, gli effetti visivi, elemento discutibile del film per il modo in cui alterano la percezione cinematografica dell'opera. Anche i paesaggi magnifici della Scozia sono resi più artificiosi da una illuminazione finta che ne banalizza la forza drammatica. Pur essendo un film di grande respiro visivo, il film è “ottimizzato per la visione domestica”, per schermi televisivi o dispositivi digitali, non per il buio e la profondità della sala cinematografica. L’immagine, invece di essere avvolgente, resta piatta, priva di texture e di matericità. L’effetto è di una bellezza digitale non tattile, che riduce l’impatto gotico e sensuale dell’opera. E la colonna sonora dell'altrimenti raffinatissimo Alexandre Desplat è roboante in maniera spesso non necessaria. Si tratta, sicuramente, delle trivializzazioni operate dalla produzione Netflix su questo film autoriale. Frankenstein fa riflettere sulla condizione del cinema d’autore nell’era dello streaming: opere nate per essere viste ovunque, ma private del contesto estetico e sensoriale che il grande schermo offre. Nonostante questi difetti, il film è bello e avvincente, la lettura di Guillermo del Toro di questa grandiosa storia ha moltissima finezza psicologica e appassiona.

a web magazine on Film Criticism, Music, and Art











Comments