BLONDE di Andrew Dominik (USA, 2022)
in sala e in streaming su Netflix dal 16/09/2022
Attrice dal talento non comune, manager che creò una propria casa di produzione, donna intelligente, professionalmente molto dedicata, culturalmente ambiziosa, spiritosa, coraggiosa, combattiva e geniale, Norma Jeane Baker, meglio nota come Marilyn Monroe, ci viene qui presentata soltanto nel suo aspetto più vittimistico di donna abusata ininterrottamente per la sua straordinaria bellezza, femminilità e sensualità; per il suo corpo, sul quale il regista e sceneggiatore Andrew Dominik non esita a incentrare tutto il film; e per la sua emotività sofferente, sbilanciata, che la condurrà alla morte a soli 36 anni.
Non si vogliono negare questi aspetti drammatici della biografia reale della grande attrice, dalla malattia psichiatrica della madre agli abusi sessuali nel mondo domestico e professionale, (che certamente erano all’ordine del giorno), ma la narrazione lacrimevole, l’insistito ritornello che in ogni e qualunque uomo Norma ricercasse il padre abbandonico mai conosciuto, l’uso della -bravissima e bellissima- Ana de Armas in un unico registro iper-emotivo, il dolore della diva narrato come un feticcio, rende il film stancante e ci induce a bocciarlo. Non siamo rimasti sedotti dalle inquadrature o sequenze surreali o iper-realiste, anzi esse hanno contribuito al rendere il film ossessivo.
La bionda-oca, la fanciulla smarrita, la bomba sessuale, l’agnellino sacrificale, la celebrity autodistruttiva: pensiamo Marilyn non sia stata soltanto questo; ce lo confermano le magnifiche prove attoriali che ha lasciato e il fatto che sia una potentissima icona culturale.
L’idea del ménage à trois con Charles Chaplin Jr., figlio del grande Chaplin, e con Edward G. Robinson Jr., figlio del famoso attore degli Anni Trenta e Quaranta, nata da una forzatura voluta dalla scrittrice Joyce Carol Oates, sul cui romanzo Blonde (2000) il film è basato, (ma la scrittrice precisò che il suo è un lavoro di finzione e non una autobiografia), la troviamo grottesca, fastidiosa e parimenti insistita, fino alla trovata conclusiva, francamente cheesy, alla vigilia della morte di Marilyn.
La mascolinità predatoria sicuramente ferì la vita di Marilyn, ma questo film è più un prodotto artistico kitsch che una denuncia femminista.
Ci è piaciuto l’affascinante Adrien Brody nel ben calibrato ritratto del marito, il commediografo Arthur Miller, (intellettuale che Marilyn era in grado di nutrire anche culturalmente).
Impeccabili le ricostruzioni ambientali e i costumi. Il regista ricrea le immagini di repertorio, da lui selezionate per questo ritratto, con notevole precisione estetica.
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