43° TFF - Sound of Falling (In die Sonne Schauen) di Mascha Schillinski (Germania, 2025)
- Planet Claire
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recensione di Clara Bruno del 28 novembre 2025 film visto al 43° TFF il 27 novembre 2025 tempo di lettura: 5 min
durata 149' proiezione ufficiale Fuori Concorso del 43°TFF il film è stato presentato al 78° Festival di Cannes e al 43° Torino Film Festival titolo originale tedesco: In Die Sonne Schauen, ovvero Fissare il sole. sceneggiatura: Louise Peter regia: Mascha Schillinski
È il secondo lungometraggio della regista berlinese. Ha vinto l'importante Premio della Giuria del 78° Festival di Cannes. Questo è un film interamente al femminile, scritto da Louise Peter, diretto da Mascha Schillinski, interpretato da attrici di età diverse e osservato completamente dalle prospettive dei personaggi femminili. Mascha Schillinski, berlinese, figlia di due cineasti, è qui al suo secondo lungometraggio. È un racconto spessissimo e inquietante, girato in un modo molto personale, ambientato interamente in una casa rurale, una fattoria nella regione dell'Altmark (Sassonia-Anhalt), nel nord-est della Germania, la vecchia DDR. L'opera procede su quattro linee temporali diverse, tra l'inizio del 1900 e la Germania contemporanea. Ma il film non ha una narrazione convenzionale, il racconto non è lineare, le epoche, come frammenti di un unico mosaico, si sovrappongono e si mescolano. La sceneggiatrice e la regista hanno lavorato tre anni e mezzo per costruire la storia, di cui due anni utilizzati per rimontare con un ordine diverso tutto il materiale accumulato: un progetto davvero molto ambizioso per una film-maker da poco uscita dalla scuola di cinema. Racconta Louise Peter: "Abbiamo vissuto questa esperienza in una fattoria centenaria, siamo rimaste affascinate dall'idea di chi viveva lì prima, chi sedeva esattamente nello stesso posto in cui eravamo sedute noi in quel momento; abbiamo anche trovato una vecchia fotografia di due donne in piedi davanti alla fattoria con alcune galline intorno: ci guardavano direttamente, come se dicessero “Ciao, racconta la nostra storia, racconta la nostra storia”. Abbiamo anche letto molti libri sulla campagna in cui abbiamo girato, parlato con molte persone del posto, è stato molto interessante." Il film mostra come tra i personaggi protagonisti delle diverse epoche e generazioni vi sia quasi una compresenza "fantasmatica", o una sorta di memoria genetica: sicuramente si tratta di una continuità emotiva delle loro sofferenze e disperazioni. Quasi un poema epico in prosa, è un dramma sui traumi intergenerazionali che restano iscritti nell'anima di ciascun personaggio e, misteriosamente, riportati e come tramandati a discendenti, figli, nipoti. Per i tedeschi nati dopo gli Anni Cinquanta, all'indomani della caduta del Terzo Reich, e andando avanti nella consapevolezza fino ad oggi, la riflessione su come i traumi vengono trasmessi da una generazione all'altra è importante. Da questa riflessione nasce l'idea del film. La storia del film è piena di esperienze violente e represse, è densa di paura e tristezza trattenute dentro. L'opera mostra -o meglio- allude a tanto orrore nei comportamenti di personaggi adulti abusanti. Ci sono risentimento, segreti, sacrifici, colpa, duro lavoro, orrore, violenze inaudite ai danni dei più deboli, stupri, (non mostrati, ma evidenti), schiavitù femminile del lavoro domestico.
Negli anni durante e subito dopo la prima guerra mondiale, un giovane di nome Fritz (Filip Schnack) subisce l’amputazione di una gamba a causa di quello che la famiglia definisce un “incidente sul lavoro nei campi”, in realtà ha subito una terrificante violenza punitiva dagli adulti della famiglia. Il ragazzo deve essere lavato e viene accudito intimamente dalla domestica Trudi (Luzia Oppermann), che a sua volta porta il peso di una crudeltà indicibile subíta nella fattoria. Le fanciulle che venivano a servizio subivano la sterilizzazione preventiva con l'asportazione dell'utero, in modo che poi i padroni potessero abusarne a piacimento senza che rimanessero incinte. Una ragazza inviata a servizio in una fattoria, piuttosto che andare incontro al suo "destino", preferisce gettarsi giù dal calesse che la trasportava e uccidersi. Anche questo avvenimento è "derubricato" come "incidente sul lavoro".
Il fulcro di questo capitolo iniziale è Alma (Hanna Heckt), una bambina che osserva le strane "tradizioni" della famiglia senza comprenderle, o meglio giudicandole tacitamente per l'orrore che esprimono; la bambina osserva anche le macabre “fotografie di morte” dei parenti defunti, sfocate, consumate dal tempo, che paiono fotografie di fantasmi. Alma rimane perplessa davanti a una fotografia di un bambino defunto che le somiglia in maniera impressionante.
Anni dopo, sempre nella stessa casa rurale, la osservatrice/narratrice femminile è la giovane Erika (Lea Drinda), che sviluppa una morbosa fascinazione quasi erotica per il vecchio “zio Fritz” (Martin Rother) e fantastica sull'idea di sé con una gamba amputata.
Ancora più tardi, intorno agli Anni Settanta del Novecento, nella vecchia Germania Est, Angelika (Lena Urzendowsky) è un’adolescente che lavora nella fattoria, abusata dal disgustoso zio Uwe (Konstantin Lindhorst) e consapevole che il giovane figlio di Uwe, cioè suo cugino Rainer (Florian Geisselmann), è innamorato di lei e nutre risentimento, poiché respinto. Quando Angelika si unisce alla famiglia per una foto di gruppo con la nuova tecnologia istantanea Polaroid, vive un momento profondamente inquietante simile a quello di Alma, una sensazione di morte. E poi scompare magicamente, anche dalla fotografia, o -razionalmente- fugge da quel microcosmo disumanizzante. Ancora più avanti nel tempo, nella Germania moderna e unificata, la giovane Lenka (Laeni Geiseler) fa casualmente amicizia con una ragazza strana e intensa di nome Kaya (Ninel Geiger), la cui madre è morta.
Gradualmente, le connessioni tra i personaggi si rivelano, ma restano ambigue, confuse. Il film accenna anche ad altri personaggi e ad altri eventi angoscianti preannunciati.
Ciò che unisce gli eventi e i personaggi, oltre alla fattoria, è il fiume in cui nuotano, che fa parte del confine con l’Ovest e che contiene anguille viscide e repulsive.
Di tutto questo materiale, lo spettatore finisce per cogliere soltanto una parte. Il film, volutamente molto frammentato, mantiene mirabilmente il tenore voluto dalla regista dall'inizio alla fine. Le esperienze non sono esattamente esplorate ma alluse.
È un film importante, con un fascino enigmatico, e realizzato benissimo. Ogni inquadratura reca inquietudine, la telecamera si solleva e si allontana dalle scene come un fantasma. The Sound of Falling (il suono della caduta) forse è è il peso della storia che grava sulle protagoniste, o forse è il richiamo del vuoto, dell'idea di lasciarsi cadere giù per sfuggire al dolore, al peso di non essere considerate, di non riuscire a farsi vedere, ascoltare, comprendere; all’impossibilità di tradurre in gesti concreti e liberatori le proprie emozioni. La colonna sonora Ambient pulsa accompagnando il malessere sotteso e l'inquietudine degli eventi.
The Sound of Falling è un film bello e ambizioso, un po' un folk-horror, ma sappiamo che tutte queste vicende hanno in vari modi fatto parte di realtà storiche. Il film rappresenterà la Germania agli Oscar 2026 per la categoria Miglior Film Internazionale.






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