Visivamente è un film molto bello, un’esperienza estetica nei colori di una natura brulla e desolata, il film è stato in buona parte girato in Scozia, proprio alla ricerca di questi colori della natura: una sinfonia di grigi e di verdi spenti e di terra opachi.
Soprattutto belli gli effetti sui corpi e sui volti lividi dei personaggi che pertanto appaiono irreali, trasfigurati, rendendo difficile allo spettatore capire chi sono i vivi e chi sono i morti; credo che questa sia la metafora più forte del film, il tocco autoriale: la Vita che è già o sta per essere Morte, fino al ‘last man standing’, come dice il Colonel Mackenzie, Benedict Cumberbatch qui in un supporting role.
Un momento forte in cui questa commistione di vita e morte è dipinta sui personaggi immoti è la scena sublime in cui un soldato, l’attore Jos Slovick, dalla voce splendida, canta una meravigliosa canzone folk, il traditional Wayfaring Stranger, (che interpretata in bellissime versioni da Hammilou Harris nel 1980 e da Johnny Cash nel 2000), quasi un canto religioso di fronte alla morte.
Grandissima la laboriosa ricostruzione scenografica delle trincee. Attraverso queste trincee, il film va dal punto di partenza, dove sta il General Erinmore (Colin Firth) al punto di arrivo, dove sta il già citato Colonel Mackenzie, in un iter che il nostro Corporal Will Schofield, -il britannicissimo attore George MacKay, scelta interessante, per contrasto: il viso di un bambino spaurito, il rigore morale di un uomo di fronte all'orrore, in un notevolissimo ruolo protagonista che pensiamo costituirà una svolta nella sua carriera-, percorre indomito per portare un messaggio da un comandante all’altro, un messaggio che può salvare la vita a 1600 uomini. Siamo immersi nelle devastate regioni del Nord Pas-de-Calais, attraversiamo il villaggio di Écoust-Saint-Mein, che i civili francesi dovettero abbandonare poiché era zona di guerra.
Le trincee e le terre desolate e devastate sono ovviamente un personaggio importantissimo del film, come ha precisato il regista, ma Mendes ci dice che la natura rinascerà, nuova vita continuerà. Mendes, con il suo stratagemma del quasi-piano sequenza ha voluto accentuare questa immersione: un punto di vista notevole.
Il Corporal Schofield, l’eroe di questa narrazione, deve affrontare molte prove e possiamo dire che questo presentarsi frontale di un pericolo dopo l’altro, di un ostacolo dopo l’altro, con i relativi scoppi, esplosioni, capriole, giravolte, atterramenti, ammazzamenti, fa un po' pensare all’incedere di un videogame, l’estetica del nostro tempo, ma non si voglia considerare questo commento come una diminutio.
La musica extra-diegetica del compositore americano Thomas Newman, autore di varie importanti colonne sonore, è molto bella, ma troppo invadente: a volte si sostituisce nell’effetto drammatico all’azione.
Sam Mendes ha fatto un film toccante, parzialmente basato sui racconti del nonno Alfred Mendes, arruolato a 17 anni, che soltanto in tarda età riuscì a raccontare ai nipoti l’inferno che aveva vissuto nella Prima Guerra Mondiale, dopo una comprensibile lentissima elaborazione, che certi avvenimenti richiedono, anche per una vita intera, per poter essere maneggiati: "It wasn't until his mid-70s that he decided he was going to tell the stories of what happened to him when he was in his teenage years," Sam Mendes racconta. "And there was one particular story he told us of being tasked to carry a single message through no man's land in dusk in the winter of 1916. He was a small man, and they used to send him with messages because he ran 5 1/2 feet, and the mist used to hang at about 6 feet in no man's land, so he wasn't visible above the mist. And that stayed with me. And that was the story I found I wanted to tell." Il nonno Mendes era alto 1,65 e la nebbia della regione saliva fino a 1,80, quindi il soldato Mendes, di bassa statura, era stato prescelto come messaggero perché riusciva a dissimularsi nella coltre grigia!, a non essere visto, a non spuntare in altezza. Questo dettaglio comunque nella narrazione del film non c'è.
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