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Due Vite di Emanuele Trevi

  • Writer: Planet Claire
    Planet Claire
  • Aug 24
  • 4 min read

Updated: Aug 25

Neri Pozza editore (2021)


Emanuele Trevi, -romano- colto e apprezzato autore che indaga la psiche anche per formazione familiare, (è figlio di Mario Trevi, pioniere della psicanalisi di orientamento junghiano in Italia, e della neurologa e psicoterapeuta Eleonora D’Agostino), in questo breve (121 pagine) romanzo “autobiografico e biografico”, che ha vinto il Premio Strega per il miglior libro di narrativa italiana nel 2021, traccia la storia di due vite, quella dello scrittore e critico letterario Rocco Carbone (1962-2008) e quella della scrittrice e traduttrice dal russo di autori classici e contemporanei Pia Pera (1956-2016), entrambi morti assai prematuramente e legati a Trevi da profondissima amicizia.


Le Due Vite del titolo non fanno riferimento ai due protagonisti che Trevi ci racconta a capitoli alternati, come da tempo va di moda.

Le Due Vite vanno invece riconosciute in quanto l’autore ci evoca: «Questo è proprio ciò che definiamo lo spirito, ovvero la possibilità che la nostra esistenza, che trascorre tutta intera nella carne e nei suoi bisogni, possieda anche un’ombra, una quintessenza che la porti fuori da se stessa. Perché noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene. E quando anche l’ultima persona che ci ha conosciuto da vicino muore, ebbene, allora davvero noi ci dissolviamo, evaporiamo, e inizia la grande e interminabile festa del Nulla, dove gli aculei della mancanza non possono più pungere nessuno. (…) La scrittura è un mezzo singolarmente buono per evocare i morti, e consiglio a chiunque abbia nostalgia di qualcuno di fare lo stesso: non pensarlo ma scriverne, accorgendosi ben presto che il morto è attirato dalla scrittura, trova sempre un suo modo inaspettato per affiorare nelle parole che scriviamo di lui, e si manifesta di sua propria volontà, non siamo noi che pensiamo a lui, è proprio lui una buona volta.»


Colmo di amore e stima per questi due raffinatissimi intellettuali, interlocutori essenziali della sua vita durante molti anni, ma mai abbastanza a lungo, Trevi tratteggia dapprima Rocco Carbone, scrittore profondo, ossessivo, e il suo «greve, inerte, disperato fastidio di esistere», in preda a quella orrenda, inutile, oscura potenza che è l’infelicità, declinata patologicamente in depressione, perfettamente identificabile nel celebre e autorevole Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders della American Psychiatric Association, citato in un’epigrafe da Carbone stesso.


«Lui, invece, faceva quello che in genere è possibile fare agli esseri umani: opponeva resistenza», scrive Trevi dell’amico Rocco.

Quando scrive al computer, Rocco Carbone «è come se, mentre dava forma all’immagine di un mondo dominato da una cupa fatalità e privo di redenzione, lui stesso venisse risucchiato al suo interno, o meglio è come se quel mondo sobrio e sconsolato finisse per tracimare dallo schermo, invadendo di una luce grigia e uniforme l’altro versante dello specchio».


Due erano, in particolare, i talenti più pericolosi e distruttivi di Rocco: «l’arte di guastarsi il sangue per futili motivi e quella di rimanere delusi dal prossimo.»

Spiega Trevi: «Noi pensiamo di essere infelici per qualche motivo, e non ci rendiamo conto che è proprio l’infelicità a produrre continuamente un suo teatro di cause che in realtà sono solo le sue maschere, e buona parte della nostra vita -speriamo non tutta!- trascorre alle prese con problemi apparenti: sentimentali, creativi, economici…».


Diversi sono gli episodi maniacali che l’autore cita, periodi durante i quali «vi è un umore anormalmente e persistentemente elevato, espanso, o irritabile


Finché un tragico, improvviso, oscuro incidente stradale uccide Rocco.


Pia, amica incantevole, se ne va di malattia, in un inesorabile declino, mentre la sua saggezza e la sua capacità di vivere si è fatta più fine, piena, matura e felice.


Traduttrice ispirata del romanzo per ragazze The Secret Garden di Frances Hodgson Burnett, dedicato al trovare se stessi e un senso e la gioia di vivere coltivando un giardino, Pia Pera lascia la città -Roma- e si dedica anima e corpo all’arte del giardinaggio, prendendosi cura di un podere di famiglia. Mentre i precedenti lavori sono dedicati alla letteratura russa, di cui è profonda studiosa, in seguito Pia pubblica libri dedicati alla sua nuova e antica passione: ne cito due, L’Orto di un Perdigiorno (2003), diario di un anno di orticoltura, e Al Giardino Ancora Non L’Ho Detto (2016), dove Pia parafrasa i versi meravigliosi di Emily Dickinson «I haven’t told my garden yet» e affronta il tema della morte. Bisognerà comunicare anche all’amato giardino la propria ineluttabile imminente morte, annunciata dalla ingravescente malattia neurodegenerativa, la SLA.


Quando Pia Pera riceve in eredità un podere in abbandono nella Lucchesia, alle pendici del Monte Pisano, decide di rimetterlo in sesto e di trasferirsi lì, inseguendo lei, cittadina cresciuta sui libri, una passione antica. La filosofia del botanico giapponese Masanobu Fukuoka, maestro dell’agricoltura della non-azione, ispira la composizione e l’allestimento del suo giardino-orto: un giardino spettinato e in movimento, dove la natura è assecondata e non contrastata, luogo di spensierate erbacce e fiori spontanei, luogo selvatico e del possibile.


Pia, con autentica serenità e ammirevole dignità, riflettendo sulla necessità di distaccarsi dalle cure che prodiga al giardino, e prendendo atto della propria finale vulnerabilità, scrive: «Le piante fanno così, cedono senza combattere, si piegano senza dolore, pronte ad accogliere qualsiasi altra vita sia in serbo per loro.»


Il breve libro di Trevi è un memoir poetico, una meditazione sul tempo in chiave psicanalitica e esistenziale, una preziosa riflessione letteraria. Fuori dal tradizionale, Emanuele Trevi intreccia ricordi personali e frammenti di critica. I suoi scopi, oltre a quello di rendere omaggio a due grandi talenti scomparsi troppo presto, sono il suggellare la grande amicizia mai abbastanza espressa e vissuta, il dire la fragilità dell’esistenza e il sottolineare la necessità della letteratura per dare un senso alla perdita.

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lo scrittore Emanuele Trevi
lo scrittore Emanuele Trevi

il giardino che fu di Pia Pera nella Lucchesia
il giardino che fu di Pia Pera nella Lucchesia




 
 
 

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